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Cronaca
29.10.2019 - 18:010
Aggiornamento: 05.11.2019 - 17:24

Caro Mark, non mi sento né ipocrita né giornalista put--a. Volevo solo raccontare la tua verità

Da giorni sono in contatto con il ragazzo ucraino rimpatriato, per avere la sua versione. Ma l'aver dato spazio ad un'interrogazione di Robbiani lo ha fatto decisamente arrabbiare. La mia replica a lui

MENDRISIO – E a volte, nella nostra professione, capita anche di sentirsi dare degli ipocriti e dei giornalisti-put---e. Succede, me ne faccio una ragione. La mia colpa? Quella, appunto, di svolgere il mio lavoro, ovvero raccontare storie.

Il complimento, chiamiamolo così, arriva da uno dei protagonisti della scena ticinese di questi giorni, Mark, il diciannovenne ucraino rimpatriato a forza. La vicenda la conoscono tutti: con una decisione negativa della SEM, il giovane e la madre sono stati incarcerati, il padre tenuto in stallo in ospedale, prima di essere portati in Svizzera Interna per essere caricati sul volo che li riporterà in Ucraina. I compagni di scuola del ragazzo protestano fuori dal carcere e proseguono con le loro manifestazioni anche dopo che il volo con a bordo Mark e la sua famiglia è partito per l’Ucraina.

Le proteste si svolgono anche in centro a Lugano. Da una parte vi sono i giovani che invocano Free Mark, che accusano gli agenti di aver usato lo spray al peperoncino, urticandoli. Qualcuno lamenta invece atti di vandalismo. TicinoLibero, come giusto che sia, ha riportato entrambe le versioni, aggiungendo anche le foto dei ragazzi feriti. Ma c’è di più. Sin da quando è scoppiato il caso, sono in contatto attraverso Instagram proprio con Mark. Lui con Instagram stories tiene aggiornati gli amici e li ringrazia per quanto stanno facendo per lui. È venerdì quando in privato lo contatto, chiedendogli di raccontarmi la sua storia. Lui risponde che nei giorni successivi avrebbe dovuto inviare il resoconto al suo avvocato dei giorni trascorsi, se a me andava bene ricevere lo stesso documento. 

Nei giorni successivi, continuano le sue stories dove promette la verità, ci risentiamo per messaggio e parla di ritardi per la traduzione della decina di pagine da inviare. Senza problemi, aspetto. 

Storie come quelle di Mark, di persone che hanno dovuto lasciare la Svizzera e i loro affetti, ne ho raccontate diverse. Ricordo l’intervista a Omar Bewar, che mi commosse. La vicenda di India, che stiamo seguendo proprio in questi giorni. Quelle di Azad e Naveed, narrate attraverso le loro fidanzate. A proposito, anche nel caso di Mark sono entrata in contatto con la ragazza: ho provato a immaginare il suo stato d’animo, quello di una diciannovenne che vede allontanare il proprio amore. Ho chiesto anche a lei di parlarmi di come sta vivendo la vicenda, di cosa ha intenzione di fare.

Nel frattempo, su TicinoLibero ne abbiamo parlato. D’altronde, la vicenda coinvolge i lettori e il compito del giornalista è questo. Abbiamo dato spazio anche all’interrogazione di Massimiliano Robbiani. A dire il vero, non l’ho pubblicata personalmente in quanto libera in quei giorni, ma conta poco, perché quell’articolo lo avrei scritto pure io.

È bastato a scatenare l’ira di Mark. Questa mattina, il giovane parlava di “giornalisti put---e, non hanno fatto altro che scambiare i fatti sul mio caso”, definendosi il Gesù Cristo moderno. In privato, mi permetto di fargli notare di non ritenermi tale (ma non vedo quale mio collega possa averlo offeso, comunque) visto che gli stavo chiedendo la sua versione. Non riporto conversazioni private, per correttezza, ma mi sento dire che ogni giornale appartiene a un partito e che lui sta male e che viene schiacciato con “frasi del c—o, che “la verità la saprà chiunque tra poco senza il vostro ‘aiuto’. Io delle persone non mi fido più perché mi fot—o tutti, dagli sbirri a voi giornalisti cui interessa solo alzare il numero dei lettori”. 

Per poi finire addirittura in una storie con la dicitura “ipocrita che cerca di entrarmi nell’anima, intanto mi fot---o alla grande nei lori giornali che leccano il c—o ai politici”. Con un successivo blocco. Anche la ragazza, alla fine, decide di non inviare il suo memorandum.

Beh, che dire. Ipocrita e giornalista put--a, caro Mark, non mi sento. Non posso immaginare il tuo stato d’animo, ma se ti ho contattato è per sapere la tua verità. Per raccontare, appunto, una storia. Per riportare fatti: l’interrogazione di Robbiani era anch’essa parte di questo calderone. Non sono ipocrita proprio perché il mio scopo non è quello di giudicare nessuno. Lo farò, dentro di me, ma come giornalista, riporterei solo quanto detto. Saranno i lettori a capire. Sarà chi di dovere, semmai, a intervenire se in quel che scrivo ci sono fatti rilevanti.

Ora la tua versione la riporterò per sentito dire. E mi dispiace, perché non era quel che volevo raccontare. Io la possibilità di dire la tua te l’ho data, come la darò sempre a chiunque. Giusto o sbagliato, giudicate voi, per me questa è etica. Senza il tuo racconto ci saranno meno letture, può darsi, però tu hai perso un’occasione, arrabbiandoti solo perché abbiamo dato spazio a tutti. Pazienza, capita, non tutte le ciambelle escono col buco.

Ma il giornalista-put—a e l’ipocrita no, quelli li rimando al mittente. 

Paola Bernasconi

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