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28.05.2017 - 09:500
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:43

Amici della...RSI. "Sosteniamo l'importanza del servizio pubblico, ma non interverremo in nessun modo nel management. Anche media come i vostri vanno salvaguardati"

Hanno raccolto 1'700 firme online, martedì costituiranno l'Associazione Amici della RSI. Mauro Baranzini: "qualcuno che la vuol distruggere? Di certo c'è, ma la nostra radiotelevisione è ottima"

LUGANO – Hanno raccolto quasi 1’700 firme online a favore del servizio pubblico e della RSI in particolare. Martedì a Lugano costituiranno ufficialmente l’Associazione Amici della RSI. Chi sono? Cosa vogliono? Come si muoveranno? Lo abbiamo chiesto a uno dei promotori, il professor Mauro Baranzini.

Che scopi avrà questa Associazione? Parlate di sostenere la RSI, ma in questo momento cosa significa?
“Significa mettere in evidenza tre cose. Intanto, la grande qualità dei programmi sia della radio che della televisione, che regge senz’altro il paragone con reti statali più blasonate come le tedesche, francesi, la BBC, o italiane. Poi, ristabilire l’importanza di un servizio pubblico fondamentale, come le scuole o le ferrovie, per il federalismo, per una Svizzera basata sulle diversità. Vogliamo essere indipendenti dai partiti, dalla CORSI e dalla RSI stessa ma siamo la voce del popolo, e desideriamo rendere noto, quando si andrà a votare tra un anno o un anno e mezzo, che c’è una forte propensione di chi non ha compiti di responsabilità a essere coscienti dell’importanza della nostra radiotelevisione”.

Chi farà parte dell’Associazione?
“Il sottoscritto, per esempio, è uno studioso e un accademico che non si è mai allineato a nessuna idea politica. C’è un rappresentante del Grigioni Italiano della Pro Grigioni, la signorina Alexandreetas, un ex Procuratore pubblico, Marco Bertoli, sindaco di Cadenazzo. Abbiamo un medico di grande levatura come Sebastiano Martinoli, oltre a Curzio De Gottardi, sindaco di Lumino, che rappresenta la Banca dello Stato, la quale come la radiotelevisione e le ferrovie è molto vicina al territorio. Infine c’è Amalia Mirante, docente alla SUPSI. La gente comune? La incontreremo durante la nostra assemblea costitutiva martedì. Abbiamo raccolto quasi 1'700 adesioni e lì vi sono persone che non sono direttori di banca o Consiglieri di Stato o professori all’università. Credo siano rappresentanti di entrambi i sessi, di tutte le fasce d’età e di ceto sociale, e siamo molto contenti che anche senza molta pubblicità abbiamo trovato tutte queste firme”.

Cosa pensate dell’iniziativa “No Billag”? Un modo per distruggere la RSI?
“Noi non siamo nati per combattere la “No Billag” e i movimenti che l’hanno lanciata, e nemmeno quelli che in Ticino a ogni pié sospinto minacciano la “No Billag” quando qualcosa non funziona nei programmi. Siamo nati per dare il via alla discussione, dando spunti alle Camere e al popolo, in vista della votazioni, per sostenere il servizio pubblico che dal 1931 è stato un collante importante della nostra società. Infatti, quando stava per nascere la RSI i neo fascisti ticinesi erano contrari perché vi vedevano un potente esercizio di democrazia e di libertà”.

Ma c’è qualcuno che, coscientemente, vuole la fine della RSI?
“Sì, qualcuno c’è. Abbiamo avuto delle lettere di persone senz’altro preparate e intelligenti che pensano che come in Gran Bretagna hanno privatizzato le ferrovie, come sono state privatizzati altri servizi, si possano privatizzare anche le scuole e magari la RSI. Persone di destra? Sono un accademico e questo non mi interessa, evidentemente sono individui che pensano che iniziativa privata sia meglio sempre del servizio pubblico, o quanto meno che esso sia clientelare e che non faccia bene il suo lavoro”.

Definisce la RSI come ottima a livello di programmi, pensate lo stesso riguardo al modo di trattare la politica?
“Personalmente, quando sono tornato in Italia dopo 30 anni in Inghilterra, ho partecipato alla creazione dell’Istituto degli Studi bancari a Vezia e dell’Università, e quando andavamo a Palazzo dei Congresssi, in tv o nelle Valli a perorare la causa, non potevamo promettere ch avremmo chiamato un professore piuttosto che un altro, che sarebbe stata una facoltà di destra, sinistra o centro, che ci sarebbe stato un certo tipo di programma. Volevamo la massima libertà di gestione, e chiediamo la stessa cosa per la RSI. Ammetto che mi danno fastidio certi servizi da Bruxelles o da Londra, penso in tempi recenti, sulla Brexit. Non oserei mai chiedere al direttore della Radiotelevisione di stralciare un collaboratore, è una responsabilità del management. Ci sono molte forme urbane attraverso cui si può dare la propria opinione, dicendo che non è rappresentata una parte di pensieri, ma non metteremo mai il becco su come la RSI è gestita”.

Ai tempi dei licenziamenti, la RSI era finita nell’occhio del ciclone. Cosa pensate di quel periodo?
“Evidentemente come sostenitori del servizio pubblico siamo contrari ai licenziamenti del personale. Ci è capitato però di dover tagliare dei rami secchi o dei servizi, un po’ come una clinica privata che non ha la copertura dello Stato e ogni tanto deve prendere dei rischi e delle decisioni non facili. Nel rispetto della dignità del lavoro di ognuno e dei diritti dei lavoratori la pensiamo in un certo modo, ma non interverremo in nessun modo nel management”.

Come vi muoverete concretamente?
“Abbiamo già una strategia abbastanza precisa. Andremo nelle varie regioni del Ticino, organizzeremo eventi, parteciperemo a dibattiti, cercheremo di muoverci a livello di giornali e articoli, di sensibilizzare nei nostri ambiti chi vuol essere sensibilizzati. Siamo coscienti che la stampa attraversa un momento non facile, pensiamo dunque che qualcosa debba essere fatto anche per chi non appartiene alla RSI o ai canali privati che sono sussidiati. Il fatto che non ricevano nulla è un’incongruenza e dove potremo lo diremo. Ci preoccupa un Cantone senza stampa scritta o siti come il vostro (che leggo e apprezzo), e bisogna pensare non solo alla RSI e a Radio 3iii e i media a lei collegati”.



Paola Bernasconi
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