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Cronaca
24.07.2017 - 10:590
Aggiornamento: 21.01.2022 - 14:40

Un professore di filosofia distrugge la Svizzera 2050. "Chi dice che gli elvetici vorrebbero la Lombardia? E che Germania, Franca e Italia cederebbero loro parti alla Svizzera?"

Lottieri analizza, partendo dalle sensibilità nazionali e dai mutamenti storici, l'ipotesi della Neue Zürcher Zeitung. "La Svizzera è diversa dalle altre nazioni ma non abbastanza da mettere in discussione lo status quo". Una riflessione comunque si pone

LUGANO - L'ipotesi lanciata qualche settimana fa dalla Neueu Zürcher zeitung in merito a un possibile allargamento della Svizzera, fino a inglobare la Savoia, la Lombardia e il Baden-Württemberg, che abbiamo ampiamente ripreso (vedi suggeriti), ha fatto rizzare sulla sedia un professore dell'USI, ovvero il docente di filosofia Carlo Lottieri.

Sul Corriere del Ticino, infatti, il professore ha parlato di fantapolitica. Per due motivi sostanziali. Ovvero, chi lo dice che la Svizzera sarebbe disposta ad accogliere queste regioni, ammesso che esse lo desiderino? E che le loro rispettive nazioni siano d'accordo a "cederli"?

Detto con sue parole, " un rdine federale implica la volontaria adesione di ogni comunità, la quale deve però essere accettata, e se anche è ragionevole ipotizzare che a Costanza o a Chambéry (o a Como, ndr) ci possa essere una maggioranza desiderosa di farsi elvetica, è tutto da dimostrare che gli svizzeri siano così smaniosi di includere tali comunità". Tanto più, sottolinea, che sovente la stampa parla di problematiche causate dalle tensioni elvetiche con chi parla la stessa lingua, al di là dei confini.

E, vedendola dall'altra parte, "è ancor meno evidente che gli Stati – ben più popolosi – che si trovano al di là della dogana vogliano dare alle loro popolazioni di confine la facoltà di optare tra un ordinamento e l’altro".

Tutto ciò ha fondamenti storici ben precisi, per Lottieri. La Svizzera non amplia i propri confini dal 1815, prima di quella data "l’Europa non aveva ancora conosciuto quel processo di nazionalizzazione delle istituzioni che ha caratterizzato il diciannovesimo secolo e con cui ancora oggi bisogna fare i conti". Dal periodo giacobino della Rivoluzione francese, l'unitarietà statale è divenuta sempre più importante, e la visione della Svizzera stessa che le altre nazioni avevano è cambiata con la costituzione liberale adottata nel 1848, quella denominata del Sonnerbund.

E se l'autoderminazione dei popoli, ovvero la facoltà di una regione a decidere a quale nazione desiderasse appartenere (che poi non sempre si realizzava, ma questo è un altro discorso), era fondamentale dal patto del Grütli alla Rivoluzione francese, il trattato di Westfalia, spiega Lottieri, ha cambiato le carte in tavola. Era il 1648, e mise fine alla Guerra dei Trent'anni, determinando alcuni aggiustamenti territoriali.

La Svizzera stessa negli anni è diversa. "La Confederazione che ha progressivamente incluso, partendo da tre piccole comunità montane, un numero crescente di città e di vallate era assai indefinita, flessibile, a geometria variabile. Era un insieme di relazioni diplomatiche e accordi (i patti di mutuo soccorso), molto più che una realtà statuale unitaria", per dirla con Lottieri. Ora è ancora un modello diverso da quello che caratterizza gli altri stati europei, "meno accentrata, statizzata, burocratizzata e nazionalizzata", esso non è così diverso "nel pensare la «sacralità» dei propri confini e essere davvero disposta a mettere in discussione lo status quo".

Quindi, quella della NZZ è fantapolitica, qualcosa di irrealizzabile. Nessuno cederebbe volentieri dei pezzi di nazione alla Svizzera, e il caso della Gran Bretagna che ha fatto votare la Scozia è a sé. Una domanda, comunque, da quell'ipotesi, possiamo farcela: "quanto, nel disgregarsi postmoderno dei miti nazionali, sia in qualche modo possibile riaprire i giochi e ridare alle comunità locali la libertà di provare a progettare in piena autonomia il proprio futuro".
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