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Economia
11.10.2017 - 12:300
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:43

"Sì, esiste un effetto sostituzione fra residenti e frontalieri: quello è il problema. Il salario minimo voluto da UNIA e sinistra sarebbe un regalo ai lavoratori italiani"

Intervista a Fabio Regazzi sul primo numero de Il Frontaliere. "Sono fondamentali, hanno fatto in modo che un'economia rurale si trasformasse in una moderna. Senza di loro, avremmo grosse difficoltà. Bignasca e i 35mila frontalieri? Una sparata, poi lui continua ad assumerne..."

COMO – Ecco il nuovo giornale per i frontalieri ma che può sicuramente servire anche agli svizzeri. Claudio Ramaccini, il responsabile, nel suo editoriale in cui presenta l’iniziativa, che è stata in cantiere per un anno prima di vedere la luce, parla di fratellanza e di unione, non di divisione. Insomma, non ticinesi contro frontalieri, anzi.

Infatti, la prima intervista è a un industriale ticinese, oltre che politico e direttore di AITI:  Fabio Regazzi. Senza peli sulla lingua, ha affrontato i temi scomodi dei rapporti fra Italia e Svizzera. Anzi, dapprima ha provato a generalizzare i problemi di rapporti citando la globalizzazione, poi ha ammesso: “Sicuramente non c’è un bel clima. Ma la responsabilità non è soltanto ticinese. Pesa anche, ad esempio, il comportamento ondivago dell’Italia sull’accordo relativo alla doppia imposizione fiscale dei frontalieri o sull’accesso delle banche ticinesi al mercato italiano. O ancora le vicissitudini del collegamento ferroviario della Stabio-Arcisate. Anche servirsi della questione del casellario giudiziale come cuneo è sbagliato. Penso che un atteggiamento più affidabile aiuterebbe tutti”.

Interpellato su Prima i nostri, ha ribadito di ritenerlo un mero slogan, con gli elettori che però hanno votato in buona fede. Lo preoccupa, anche se prima di tutto avverte di aspettare al varco UDC e Lega, un’eventuale disdetta dell’accordo di libera circolazione: “Certo è che per la Svizzera sarebbe un grande problema se venissero cancellati gli accordi bilaterali con l’Unione Europea, rischieremmo di trovarci in una posizione difficile con i nostri maggiori partner commerciali”.

I frontalieri in Ticino sono fondamentali, “hanno contribuito in modo determinante allo sviluppo del Cantone, facendo in modo che un’economia rurale si trasformasse in economia moderna. E ancora oggi, senza i frontalieri saremmo confrontati con grosse difficoltà”. È sbagliato, a suo avviso, fissare dei massimi, come i 35mila di cui parlava Attilio Bignasca. “In base a quali criteri, poi? Nell’edilizia, nell’industria e nell’artigianato ci sono sempre state quote di frontalieri anche ampie. Quella di Bignasca è solo una sparata. Lui stesso continua ad assumere operai italiani per la sua ditta”.

Dettaglio importante, poi: ammette che esiste un effetto sostituzione, nonostante quanto detto di positivo dei lavoratori italiani. “Ci sono settori, penso soprattutto ai servizi, dove è in atto un effetto di sostituzione. Una parte degli oltre 64mila frontalieri attivi oggi in Ticino lavora in comparti del settore terziario che dovrebbero dare più occupazione ai residenti. È questo il vero problema, che andrebbe affrontato in modo più puntuale”.

Infine, il salario minimo. La quota, a suo avviso, giusta sarebbe 17.30 franchi orari, non certo i 21 proposti da UNIA. Sindacati e sinistra sparano molto alto. Unia parla di 21 franchi all’ora che equivalgono a oltre 3.700 franchi al mese. Una cifra che giudichiamo insostenibile. Oggi in Ticino ci sarebbero circa 12mila lavoratori con salari inferiori a 3.500 franchi. Di questi, 8.500 sono frontalieri e 2mila residenti. Se passasse la proposta del sindacato faremmo un grosso regalo soprattutto ai frontalieri e ci sarebbero inevitabilmente importanti perdite di posti di lavoro. Alcune aziende sarebbero costrette a chiudere, altre potrebbero prendere la decisione di delocalizzare la produzione”.
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