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Cronaca
11.11.2017 - 17:000
Aggiornamento: 21.01.2022 - 14:40

La maratona di New York raccontata da una ticinese. "Una sera, un rumore sembrava di spari... A Quuensoboro Bridge non ce la facevo più, il pubblico mi ha spinto. È una maratona da vivere!"

Rossella Terzi ha partecipato assieme ad altri ticinesi alla celebre maratona, pochi giorni dopo l'attentato vicino a Ground Zero. "Non voglio farmi condizionare dalla paura. C'erano metaldector, polizia e cecchini sui tetti. Gridavano storpiando il mio nome, mi sono commossa"

NEW YORK – La maratona di New York è un appuntamento ormai fisso dal 1970: attira persone da tutto il mondo. Quest’anno, ai nastri di partenza c’era anche un gruppo di ticinesi. A rendere ancor più elettrica l’atmosfera, pochi giorni prima c’era stato un attentato nei pressi di Ground Zero, con un uomo che aveva investito volontariamente delle persone su una pista ciclabile, uccidendone otto.

Rossella Terzi, una delle ticinesi che ha partecipato alla maratona, ci ha raccontato la grande emozione vissuta, soprattutto nei momenti di difficoltà con un pubblico sconosciuto pronto a sostenerla incessantemente, mescolata alla consapevolezza che la Città era presidiata da un imponente dispositivo di sicurezza e che il messaggio era “non smettiamo di viaggiare”. Anche se un episodio che li ha terrorizzati, la prima sera, c’è stata.

È stata la tua prima esperienza alla maratona di New York?
“Sì, è la prima volta che corro una maratona, ho però corso la mezza maratona di Lugano a maggio di quest’anno, e avevo visitato New York già qualche anno fa.

Pochi giorni prima c’era stato l’attentato nei pressi di Ground Zero, non hai avuto nessun dubbio sulla scelta di correre? Hai avuto paura?
“Di dubbi ne ho avuti parecchi, già prima che facessero l’attentato, soprattutto avendo due bambini piccoli che  abbiamo lasciato ai nonni. Ma non voglio permettere che queste cose mi condizionino la vita quindi ho deciso di partire. Durante la corsa non ho avuto paura e non ho nemmeno avuto il tempo di pensarci.

Com’era il clima generale?
“Giovedì in serata, dopo l’arrivo in albergo, ci siamo diretti verso Times Square. Mentre passeggiavamo abbiamo sentito dei rumori che a me sembravano spari. Poi abbiamo visto una folla di gente correre nella nostra direzione e ci siamo precipitati all’interno in un ristorante. Per fortuna era un falso allarme. Non proprio un buon inizio ma a parte questo episodio abbiamo passato una piacevole vacanza”.

Secondo te New York e chi ha corso hanno voluto dare una risposta al terrorismo? Se si quale?
“Ogni partecipante akla maratona aveva i suoi motivi per correre, io ad esempio volevo testare i miei limiti e dimostrare a me stessa che se mi do un obbiettivo con un po’ di impegno  riesco ad ottenere dei risultati. Tuttavia credo che un numero cosi alto di partecipanti, ben 73'000 persone alla partenza,  faccia anche capire che non siamo disposti a rinunciare a vivere la nostra vita per paura.
Ho trovato una città super organizzata, che ci ha permesso di correre in tutta tranquillità.: metaldetector alla partenza, polizia disseminata su tutto il tragitto, controlli per il pubblico e da quello che mi è stato detto anche cecchini sui tetti e poliziotti in borghese. L’organizzazione più che dare una risposta al terrorismo ha dato un segnale di sicurezza ai partecipanti della maratona.

Se hai girato un po’ per la città, ti chiedo la stessa cosa: che New York hai vissuto?
“Abbiamo visitato la città nei due giorni precedenti alla maratona, credo che una città come New York stia sempre in allerta... Purtroppo quando un pazzo esaltato decide di fare una strage di pedoni questo può capitare qui come in qualsiasi altro luogo”.

Ci racconti la maratona in sé? Che esperienza è stata?
“Visti gli impegni famigliari non mi sono allenata come avrei voluto, solo gli ultimi due mesi ho corso un po’ costantemente facendo una volta alla settimana un lungo di 20-25 km e una seconda volta un corto di 8-10km. Sono cosi partita non credendo di poter fare grandi risultati ma non mi interessava. Ciò che più ricordo dei primi 25 chilometri di maratona sono l’entusiasmo e l’allegria del pubblico, i, bambini che davano il cinque, i personaggi stravaganti che correvano e le band improvvisate ai margini della strada. Mentre correvo ho sentito ogni genere di musica: tamburi, gospel, cantautori con chitarra improvvisati e non solo! Tutto questo mi hanno dato un’allegria e un energia indimenticabili. Al 25° km é arrivato il Queensboro Bridge, un ponte che mi ha distrutto le gambe, ed é subentrato lo scoraggiamento. Ho sentito molti raccontare di un mur che si percepisce verso i 30 km, per me questo maledetto ponte ha rappresentato quel muro e da li in avanti posso solo dire che é stata molto dura".

Però sei riuscita a arrivare al traguardo?
"Per fortuna il grande pubblico della città di New York ha fatto la differenza! Ai margini della strade semplici spettatori distribuivano pezzi di arance o banane, cioccolata, bottigliette d’acqua, grissini e ho addirittura visto un tipo organizzare uno stand con bicchieri di birra per noi corridori: grandi! Ma è stato solo all’entrata a Central Park che si percepisce il vero spirito della maratona. In questi ultimi chilometri ero stremata e vedevo in ogni curva la curva il finale, che però ahimé sembrava non arrivare mai. Mi sono fatta prendere dallo sconforto, perche quel traguardo cosi agognato sembrava irraggiungibile. Ogni tanto mi fermavo e sentivo le voci del pubblico chiamare il mio nome, “go Rosella run”, e sorridevo, un po’ per la storpiatura del nome e un po’perche sentire degli sconosciuti chiamarti e incitarti é una gran bella emozione. Verso la fine della gara mi fermavo ogni 50 metri, ma appena lo facevo sentivo in mio nome chiamato a gran voce, ero incredula e mi sono scese pure le lacrime dalla commozione: sentire tutto quel calore e quel affetto da parte di un pubblico sconosciuto é impagabile e un emozione che non scorderò mai. E finalmente ho raggiunto il traguardo! Posso solo aggiungere che sono davvero felice di aver corso questa maratona e solo ora ho capito perché la maratona di New York non é una gara da correre ma da vivere”.



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