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Cronaca
06.01.2018 - 14:440
Aggiornamento: 21.06.2018 - 14:17

La visione che non ti aspetti sui commerci. "Crisi? Per riuscire, bisogna lavorare dieci ore al giorno: se vuoi, puoi. Ma il termine sacrificio ora è difficile da far attuare..."

La storica commerciante di calzature Rina è andata in pensione. "Ma ero in attivo. Mendrisio? È stata un salotto, un incontro. È cambiata con la chiusura dell'Innovazione, della Coop e della Posta. Chi non ce la fa? Servono persone e prodotti giusti, il Mendrisiotto vuole la classe. Su Chiasso dico che..."

MENDRISIO – La crisi, i clienti che non arrivano, il mercato online, la concorrenza italiana. Spesso, quando si parla con commercianti ticinesi, il triste refrain è uno. Invece ecco le parole controcorrente, quelle che danno speranza, che portano un’immagine positiva, che veicolano il “se vuoi puoi”.

A Mendrisio ha chiuso il negozio di calzature Rina: la storica proprietaria, conosciutissima nel Magnifico Borgo, ha deciso di andare in pensione e non ha trovato nessuno che proseguisse l’attività. Ma nessuna crisi, assolutamente. Siamo andati a trovarla, e ci ha sorpreso con la sua visione del mondo del commercio.

Quando sei arrivata a Mendrisio?
“Ho avuto il negozio per 25 anni. Sono arrivata qui perché cercavo una boutiqueda affittare, sarebbe andato bene anche a Lugano o Bellinzona, dove avevo lavorato, il caso ha voluto che trovassi qui, dove comunque avevo già lavorato. Sapevo che sarebbe stato difficile, essendo una zona di frontiera”.

Come ti sei trovata?
“È stata una grande famiglia, qualcosa di particolarissimo. Era un salotto più che un negozio. Mi sono trovata molto bene, la gente mi ha accettata e non è poco in periferia. C’era un ambiente, un’élite, gente che veniva per me, che comunque conoscevo bene il ramo delle calzature. Ma a parte quello c’è stato qualcosa in più, la nicchia, il fermarsi in negozio. Era un incontro, oltre a tutto il resto”.

Lo stesso vale per gli altri commercianti?
“Con loro ho avuto un rapporto sempre normale, sono sempre stata rispettata e ho rispettato. Io porto rispetto alla città, al luogo dove sono, ho cercato di spendere nel Mendrisiotto, di espandere il mio negozio anche ai clienti che andavano in altri. Ho provato ad avere sempre degli scambi, andando in ogni ristorante, in ogni bar, lasciando soldi dove lavoro: trovo sia qualcosa di fondamentale”.

E gli affari? Hai risentito della crisi generale, soprattutto dei piccoli commerci?
“No, sono andati e andavano ancora bene. Ho sempre venduto benissimo, il negozio ha chiuso in attivo. Ho notato difficoltà al momento dell’introduzione dell’euro e quando è stata decisa nel 2015 la soglia fissa di cambio fra franco e euro, però sono sempre stata in attivo. Vero, è più difficile, con Internet e i grandi negozi, però personalmente ho sempre lavorato. Non ho chiuso per questi motivi, per me era arrivato il momento di andare in pensione, semplicemente, era il mio desiderio. Avevo fatto, nel mondo del lavoro, quel che dovevo”.

Che difficoltà hai incontrato al momento di voler vendere in negozio?
“Non è stato venduto, semplicemente chiuso perché non c’erano le persone giuste per proseguire, da indirizzare. Per un negozio il lavoro è tutto,  importante, servono persone pronte. Se qualcuno voleva continuare anche sotto la mia direzione, doveva essere in un certo modo. Ho incontrato invece solamente gente con paura. Prendere un negozio in attivo, conosciutissimo, può essere un grande rischio, anche se è diverso che cominciare da zero perché c’è il nome. Però ho notato come il termine sacrificio adesso è difficile da far attuare. Serve lavorare anche dieci ore al giorno, mettersi in discussione, fare una grande ricerca, per arrivare a questi livelli c’è dietro un grande lavoro”.

Ma ti spiace che il negozio verrà chiuso?
“No, sono felice di averlo gestito perché era il mio sogno. Ho dato tutto, ho fatto ciò che dovevo, dopo cinquant’anni ho capito che era arrivato il momento. Ovvio che se qualcuno davvero ci avesse creduto sarebbe stato facilitato, ma dato che non c’erano le persone giuste va bene così. Ripeto, non ho chiuso perché non lavoravo, anzi”.

Quanto è cambiata Mendrisio negli anni?
“È cambiata molto quando sono stati chiusi prima l’Innovazione, poi anche la Coop, tutti negozi importanti. Ed anche con la chiusura della Posta, che porta un gran movimento di persone. È mutato il mercato di passaggio, non veniva più nei negozi gente che si trovava qui per altri motivi. La mia fortuna è stata conoscere molte persone anche da fuori, che comunque sapevano che c’ero io e venivano espressamente da me”.

Però molti negozi hanno chiuso, e diversi sono stati meteore, durati poco tempo…
“Va detto che c’erano negozi di non qualità. Il Mendrisiotto per me ama le cose come si deve, di classe, di qualità, oltre al fatto di avere un buon servizio, lo dico per esperienza.  Per lavorare, serve tutto, dalla persona corretta al prodotto. Ci sono tanti fattori, e dietro un negozio stanno molti sacrifici, tanto lavoro, davvero tanto. Non so quanti sono disposti. Arrivi al mattino alle 8, finisci alle 19, sei fuori per la ricerca, per i materiali, sei sempre in movimento, non hai un attimo di tregua. Se vuoi riuscire, secondo la mia opinione, serve questo”.

In molti non sono d’accordo. Infatti numerosi commercianti, penso a quelli di Chiasso, ma non solo, si lamentano che qualsiasi cosa si faccia, i clienti non arrivano.
“Ho lavorato a Chiasso attorno al 1970. Dal mio punto di vista posso dire che sta soffrendo molto per l’euro, è difficile che la gente si fermi, dobbiamo ricordarci che siamo un paese di confine e sappiamo, quando apriamo un negozio, dove la gente va a servirsi. E Chiasso è particolare, patisce ancor di più questa situazione, era così anche ai tempi”.

Il Fox Town quanto ha tolto ai commerci di Mendrisio?
“A me assolutamente niente, sono arrivata prima di loro. Se c’era qualcuno che aveva merce uguale alla mia era di tre anni prima. Non bisogna avere i medesimi articoli bensì puntare su un target diverso: loro sono per la grande massa, noi siamo piccoli, e dobbiamo dare tre volte in più di loro. Che ha portato via introito piuttosto è l’online, grandi magazzini come il Fox Town, il Serfontana o l’Ikea ormai ci sono, non bisogna aver paura di loro. A Mendrisio, piuttosto, un grandissimo problema è sempre stato non poter aprire durante le manifestazioni”.

Cosa ci dici riguardo all’evoluzione del gusto nel tuo settore, quello delle calzature?
“Io ho sempre fatto moda, qualità, lavorando con gli artigiani, oltre ad offrire un servizio accurato. Il nostro successo è nato da lì. Quando ho iniziato a Mendrisio andava molto il classico, da una decina d’anni invece il trend è cambiato. Essendo in periferia, la gente vuole lo sportivo. Poi, naturalmente c’è chi opta per il tacco 12 o per qualcosa di particolare, dall’ortopedico alla grande marca, però direi che il 90% ha virato sullo sportivo. I prezzi? Sono sempre rimasta sul medio-alto, senza mai abbassarmi al buon mercato, e la gente che veniva da me lo sapeva, e arrivava consapevole di trovare il numero che magari non hanno altri, la qualità, o la marca che non trovava da altre parti. L’esperienza fa molto, oltre al lavoro, lo ribadisco”.

È questo dunque il consiglio che daresti a chi vuole aprire un negozio: lavorare?
“Prima di tutto, di non avere paura. Poi di lavorare ma di prendere qualcosa che piace. Io venivo da molta esperienza, attraverso tutta la Svizzera, serve anche quella…”.

Sì, ma un giovane che non ha esperienza, cosa deve fare?
“Il giovane può cominciare benissimo afficandosi a qualcuno, per esempio assieme a me, nel mio caso. Il nostro è un lavoro che piace molto. Ripeto, deve lanciarsi, semplicemente, come ho fatto io quando sono arrivata a Mendrisio. C’è paura di investire e di perdere soldi? Non sono molto d’accordo, penso a quando ho preso una gerenza a Bellinzona, il negozio navigava in cattive acque e l'ho portato alle stelle. Con la paura non si va da nessuna parte, non fai niente. Bisogna avere un grande carattere, essere decisi. Si riesce a fare tutto, basta volerlo”.

Paola Bernasconi
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