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Cronaca
20.03.2018 - 15:580
Aggiornamento: 21.01.2022 - 14:40

Un pugno nello stomaco, un fotografia impietosa. Aumenta la pedopornografia nel web, grazie a piattaforme e anonimato. Ma quasi nessuno interviene, "mettere dei filtri farebbe perdere guadagni"

Da brivido il report 2017 dell'associazione italiana Meter. I video in Internet sono quintuplicati in un anno, aumentano foto, link e chat. I file vengono fatti circolare tramite piattaforme quali Dropfile o Cloud, tramite domini in paesi sperduti e server europei o americani. Le vittime? Preadolescenti ma anche più giovani

AVOLA – Un problema sempre più diffuso, una sorta di emergenza culturale, su cui tanti potrebbero e dovrebbero fare di più. Sono numeri, eppure dietro ad essi si nascondono storie, vite segnate, di giovanissimi. Un pugno nello stomaco, non solo cifre.

L’Associazione Meter, fondata da Don Fortunato Di Noto, è arriva da anni nel monitoraggio e nella denuncia della pedofilia e della pornografia, e stamattina ha presentato il suo rapporto riguardo il 2017. I link riguardanti questo truce mercato sono aumentati dal 2016, quasi il doppio (da 9'000 a 17'000), le foto sono passate da 2 milioni e 2 milioni e 200mila, i video quintuplicati, toccando quasi quota un milione, le chat sono raddoppiate.

Ma chi è il cyber pedofilo? Nel rapporto, viene così definito: “è un individuo che trova nella rete la possibilità di soddisfare le sue fantasie sessuali senza contravvenire alle regole morali che la società in cui vive gli impone, inoltre riesce a soddisfare in maniera virtuale i propri impulsi, tutto ciò non produce altro che una maggiore devianza e un allontanamento dalla vita reale. Da non sottovalutare la raffinata capacità di utilizzare al meglio la tecnologia per raggiungere i propri scopi”. Si distinguono diverse categorie, chi colleziona video ma non è coinvolto in abusi, chi fa girare materiale senza trarne vantaggio, chi addirittura aggancia le vittime. E si sa che Internet ha reso molto più semplice questo compito.

“Spesso non si tratta di individui isolati ma di organizzazioni criminali vere e proprie, che oltre a condividere, lucrare sul download del materiale pedopornografico, spesso sono anche i produttori di quest’ultimo. L’abuso sessuale viene filmato, fotografato e condiviso, addirittura vengono realizzati veri e propri set in cui la violenza viene documentata”, spiega Meter.

I link circolano per il web, esistono, e fa venire i brividi, anche delle piattaforme pensate appositamente, così come delle chat dove i pedofili si incontrano. E anche sistemi di condivisione gratuiti, che spesso tutti usiamo per scopi innocenti, come Dropfile e Cloud, diventano un mezzo. Purtroppo, l’anonimato è garantito, per cui è difficile capire chi ci stia dietro. Ma non solo piattaforme, anonime e a tempo: anche il deep web, quello nascosto, ha la sua fetta di responsabilità, e Meter ritiene che non si faccia abbastanza.

I mesi con più video scoperti sono aprile e ottobre: difficile capire perché.  Le fasce più colpite sono quelle dei preadolescenti, dagli 8 ai 12 anni, seguiti da chi ha tra i 3 e i 7 anni e poi addirittura da neonati.

Da dove vengono pubblicati questi contenuti? Difficile anche qui stabilirlo, poiché, si legge nel report, “un utente che risiede in un continente può registrare un dominio appartenente geograficamente ad uno Stato collocato in un altro continente. Questo fa comprendere la complessità del mondo del web, e la totale libertà di azione degli utenti che su Internet non hanno nessun vincolo geografico”. I domini più frequenti vengono da  “Stati magari sperduti nell’oceano, in isole dorate del Pacifico o vicine ai poli. Sul podio al primo posto Tonga (Oceano Pacifico) con 10.096 link, al secondo posto la Russia (da considerare la vastità geografica dello Stato disteso su due continenti Europa e Asia) con 1.150 link e al terzo posto con 1.091 link St. Pierre e Miquelon (isole a sud di Terranova nel nord del Canada)”, ma capire realmente da dove vengono postati è complicato.

Ma i server attraverso cui circola il materiale si trovano soprattutto in Europa e in America, che “sono la culla della maggior parte delle aziende che gestiscono i server che permettono il funzionamento di molti siti o piattaforme in cui si divulga materiale pedopornografico. Da qui derivano, a nostro avviso, grosse responsabilità da parte delle aziende che gestiscono i server. Ad oggi non esistono protocolli o filtri per l’upload dei file. In servizi dedicati è possibile caricare qualsiasi tipo di materiale, anche violento, con la presenza di atti sessuali con minori, e con indicibili pratiche di abuso in modo totalmente gratuito, anonimo e senza alcun controllo da parte dei proprietari dello spazio web in cui il materiale viene caricato. Responsabilità”, accusa il rapporto.

“Non esiste, per ovvie ragioni, un’unica regolamentazione del web, valida in tutti i Paesi. Su Internet non esistono confini geografici e la libertà di azione dell’utente è quasi totale, in particolare nel web sommerso. Ma esistono dei mezzi tecnici o delle soluzioni per mettere un freno alla diffusione di questo orrore silente che ha per protagonisti bambini innocenti? Alle Nazioni, ai colossi del web interessa bloccare lo scambio di file e il mercato illecito di materiale pedopornografico? È possibile mettere dei filtri? È possibile creare dei sistemi intelligenti che individuino le immagini di nudo o violente? E ancora perché gli Stati europei o del mondo dovrebbero preoccuparsi di stilare protocolli comuni per porre un limite alla circolazione di materiale illecito online? “, si chiede l’associazione. “I mezzi tecnici per inibire la diffusione di tale materiale esistono. Costosi algoritmi riescono ad individuare la tipologia di immagini, riconoscono i volti e il nudo. Le inserzioni a pagamento di Facebook, ad esempio, sono dotate di un sistema che automaticamente blocca il caricamento di file in cui vi è la figura umana nuda, perché contrarie alle linee guida del social. Tali sistemi potrebbero essere programmati anche per gli spazi online di condivisione di file, ma evidentemente mettere dei filtri comprometterebbe il guadagno dell’azienda che fornisce il servizio”. E chiede lo scardinamento dell’anonimato, oltre che l’istituzione di una black list.

“Non esiste un controllo, i colossi del web non intervengono. Ma io chiedo: se fosse vostra figlia? Per la società, questo è un problema marginale. Invece non lo è”, è l’appello accorato di Don Fortunato Di Noto. Servirà?
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