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Cronaca
05.05.2018 - 16:130
Aggiornamento: 21.06.2018 - 14:17

Colori, maschere e balli, Venezia scende in piazza a Lugano. "Le maschere non erano elitarie, anzi. Il nostro messaggio è soprattutto storico"

La Festa veneziana ha animato le vie del centro settimana scorsa, la sua organizzatrice Candida Mammoliti ci racconta come nascono i costumi, "molti sono disegnati da me", la storia di una manifestazione "che probabilmente dava fastidio a un regime come quello fascista". Il tutto in allegria GUARDA LE FOTO

LUGANO – Settimana scorsa, Lugano si è colorata di maschere veneziane, di allegria, di colori, di donne misteriosamente velate. Era la settima edizione della Festa veneziana, organizzata da Candida Mammoliti. “Sono nata vicino a Venezia, da bambina mi sono trasferita nella Svizzera Tedesca, dove la mia passione per le maschere non è stata capita. L’ho accantonata finchè non sono venuta in Ticino, il primo evento veneziano risale al 2012”, ci racconta.

Scorgendo le foto, si nota un retrogusto dolce di passato, di allegria. I figuranti sono stati ottantacinque, otto coloro che hanno ballato, dato che per il primo anno si è messo in scena anche un minuetto. “Può venire chiunque, non serve saper ballare, abbiamo inventato la danza basandoci su dei passi che abbiamo visto fare da altri o che abbiamo trovato in Youtube. Ne è uscito un minuetto, che riprende uno dei balli più antichi di società, col primo obiettivo il coinvolgimento del pubblico. La gente per divertirsi cantava e ballava insieme! Purtroppo, se l’anno scorso in Piazza Riforma avevamo 400-500 persone, questa volta per un errore del responsabile eventi e per la concomitanza con AutoNassa, ci hanno lasciato Piazza Dante, che è troppo piccola per balli di gruppo”, ci spiega.

Ma dietro queste maschere, c’è tanta storia. Candida Mammoliti ce la racconta, tornando indietro negli anni, e viaggiando, dall’Oriente a Venezia. “La tradizione è nata dopo un viaggio di un Doge in Oriente, che mischiò la tradizione orientale con quella locale. La prima maschera, Bauta, era maschile, e serviva per proteggersi, la indossavano per esempio i signori che perdevano al casinò e non riuscivano a pagare i creditori. Altre, come Colombina, Arlecchino sono nate con Goldoni e la Commedia veneziana. Quella medicale col naso lungo con le spezie serviva per recuperare i poveri appestati che morivano, chi doveva fare questo lavoro si proteggeva mettendo nel naso delle spezie”.

Ovviamente, non tutti i costumi sono scesi in piazza, malgrado nella sua collezione privata ne abbia più di 70. “In parte li ho disegnati io, creati da sartorie e addobbati da me. Mi aiuta una costumeria di Gerenzano, che lavorava anche per la Scala di Milano, ora purtroppo ha deciso di chiudere”.
“La maschera veneziana non è elitaria, anche se pochi lo sanno”, ha voluto specificare. “È stata creata per annullare le classi sociali. Paradossalmente, quando si indossa una maschera la persona si può liberare da quella che porta inevitabilmente tutti i giorni. Libera dai condizionamenti, e dalle differenze sociali: lo scopo è liberare sé stessi, pur in una certa estetica”.

Dunque, il messaggio era questo, sempre attuale, della liberazione di sé stessi? Per Candida Mammoliti, la festa vuol far passare soprattutto un “messaggio storico. Sin dalla prima edizione abbiamo ripreso una vecchia festa veneziana, una consuetudine fino al 1930. Inconsapevolmente, ho ripreso un evento storico cittadino e di grande portata, che veniva fatto con fuochi d’artificio, la navigazione, la filarmonica ed altro  Non ho ancora capito perché si sia interrotto, mi è stato detto che economicamente Lugano non aveva problemi a organizzare una festa così, ma che probabilmente la forma di pensiero fascista avanzava, con ripercussioni anche sul Ticino, e dunque il motivo poteva essere politico, un fastidio che veniva dato a chi voleva creare un regime”.

A dominare, allegria e colori, ma dietro c’è un lavoro intenso, di un gruppo che si è radunato a lungo a provare, divertendosi, creando amicizie, cementificandone, con lo spirito di coinvolgere il pubblico. Una tradizione, ormai, a Lugano, che piace.
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