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17.05.2018 - 17:550
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:43

Il dispiacere del Vescovo, "capisco i sentimenti dei collaboratori. Non potevamo garantire un piano sociale. La collaborazione?. Il Corriere del Ticino non era un benefattore incondizionato"

Monsignor Lazzeri parla con rammarico della chiusura del Giornale del Popolo. "Ho voluto guardare tutti negli occhi, purtroppo il modo con cui si comunica la morte di un parente non cambia. Un settimanale non era sostenibile e l'appello agli investitori della direttrice mi pare un po' troppo ottimista"

LUGANO – Si è tentato di trovare una strada per proseguire, ma non era possibile garantire neppure lo stipendio per giugno. È onesto e trasparente, come suo solito, seppur rammaricato e dispiaciuto, Monsignor Valerio Lazzeri, quando lo contattiamo per parlare della notizia del giorno, la chiusura annunciata del Giornale del Popolo.

Qual è il suo stato d’animo al momento?
“Di grande dolore, di grande preoccupazione e di sofferenza per questa voce che si interrompe in questa forma. È una realtà che ha accompagnato un’epoca e che ora siamo costretti a consegnare alla storia”.

La polemica maggiore che si sente in queste ore è il fatto che purtroppo i dipendenti non potranno usufruire di un piano sociale, cosa ci dice in merito?
“Evidentemente il dolore profondo per questa situazione è la cosa che più mi ha abitato negli scorsi giorni. Abbiamo cercato di fare di tutto per vedere se era possibile affrontare un piano sociale per così tanti dipendenti, ma non eravamo in grado di sostenere un simile approccio. Avendo di fronte la prospettiva di non poter onorare il lavoro dei collaboratori per il prossimo mese ci siamo detti che dovevamo almeno garantire il minimo sostegno che viene dalle tutele sociali. Li facevamo lavorare anche a giugno e poi, se non c’erano i soldi, che cosa avremmo fatto, li avremmo fatti lavorare gratis per un mese?”.

Certo che la notizia, da un giorno con l’altro, è ancora più sconvolgente, concorda?
“Assolutamente. Si immagini, abbiamo pensato a tutti i modi per comunicarla, ma quando un parente muore si può fare di tutto per dirlo in maniera delicata, però prima o poi la cosa dura va detta, non cambia se viene spiegata in modo dolce o diretto”.

Quanto è stato difficile parlare coi collaboratori?
“Molto, però ci ho tenuto ad andarci, ho guardato in faccia ciascuno. Capisco tutti i sentimenti di rabbia, di sconforto, di frustrazione, che sono normali e comprensibilissimi, non posso dire nulla che non sia che hanno la mia comprensione, ma questo non mi permette comunque di fare altro”.

La direttrice, Alessandra Zumthor, ha lanciato un appello a eventuali investitori, sostenendo che di fronte a qualcuno pronto a mettere soldi voi potreste fare marcia indietro. È vero?
“Tutto ora è in mano al Pretore, che deciderà quanto questo investimento dovrebbe essere alto per ribaltare la situazione. Non so quanto riterrebbe necessario per dire che il tutto muta e che non è più fallimento, io non sono in grado di dire quanti soldi mancano per cambiare tutto. Quel che ha detto la direttrice mi pare un po’ troppo ottimista”.

Ha parlato delle varie soluzioni che avete considerato, fra di esse c’era quella di divenire un settimanale?
“Certamente, sono state sempre al vaglio e considerate. Passando a un settimanale, bisognava comunque ridurre a 5, massimo 6, i giornalisti impiegati, non si può fare un settimanale con 30 collaboratori e la sofferenza sarebbe stata comunque grande. La sostenibilità poi era incerta, vuol dire trovare degli abbonati, che in Ticino non è facile, oltre ai costi di pubblicazione. Tutti i settimanali diocesani in Italia sono un buco nero per le loro Diocesi, non è facile pensare che questa fosse la soluzione di una situazione catastrofica”.

Ecco, ha proprio citato gli abbonati. Cosa succederà a chi ha acquistato l’abbonamento al Giornale del Popolo?
“Come tutte le persone che hanno pagato per qualcosa che non può essere dato perché la società è fallita, diventano creditori della società, nei modi e nei termini dovuti saranno risarciti come deciderà il Pretore. Ora non posso dire come e in che modo, una volta depositati i bilanci, se non abbiamo più soldi non ne abbiamo”.

Forse è presto per queste valutazioni, però siete pentiti di aver interrotto la collaborazione col Corriere del Ticino e il suo gruppo?
“Il Corriere del Ticino non era un benefattore incondizionato di un Giornale del Popolo che poteva contare in tutti i momenti di un bilancio risanato da questa collaborazione. Avevamo un contratto che imponeva degli impegni e delle condizioni. È stato qualcosa di prezioso portato avanti per diversi anni ma a un certo momento ci siamo interrogati sul fatto se potevamo rinnovare il contratto, e ci siamo resi conto che impegni e condizioni per noi non erano sostenibili. Abbiamo tentato questa strada, con la speranza ovviamente di farcela, i fatti non ci hanno dato evidentemente ragione”.

Ora cambierà anche il modo di comunicare della Diocesi, venendo a mancare uno strumento come il Giornale del Popolo?
“È troppo presto. Lo spirito del Giornale del Popolo è una realtà molto importante e viva che rimane nei cuori e cercheremo di farlo vivere in altri modi, compatibilmente ai mezzi che avremo. Potrà proseguire a esistere un sito Internet del GdP? È assolutamente prematuro fare ipotesi, siamo in una fase in cui dobbiamo affrontare ben altre difficoltà”.

Paola Bernasconi
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