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17.06.2018 - 10:050
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:51

"Un libro che turba la coscienza". Armando Dadò e il libro di Francesco Lepori dedicato alla criminalità finanziaria in Ticino

L'editore recensisce "I colletti sporchi", l'opera scritta dal giornalista di giudiziaria della RSI: "In un mondo in cui i valori del buon senso, della misura, della moderazione e dell’onestà vengono troppo spesso disattesi, la lettura di questo libro dovrebbe favorire qualche riflessione"

di Armando Dadò

 

Francesco Lepori è un giornalista di valore che segue con attenzione e con passione le vicende giudiziarie. Il libro che esce in questi giorni - “Il Ticino dei colletti sporchi” - riprende alcuni fatti di criminalità finanziaria accaduti nel nostro Cantone e che hanno occupato magistrati, giurati, avvocati difensori e aule di giustizia. Ecco qualche esempio.

 

Il mancato assassinio di Rovio

 

Nel 1986, durante una festa di carnevale, Ernesto, piccolo imprenditore di origini valmaggesi, conosce Roger, un giovane di belle speranze e banchiere dalle forti ambizioni professionali e politiche. In poco tempo i due diventano ottimi amici e si raccontano i fatti della vita. Di confidenza in confidenza Ernesto informa l’amico di possedere un capitale di oltre tre milioni di franchi. Roger allora gli consiglia di spostare il denaro su un conto in nero oltre San Gottardo e di affidargliene la procura. Nel corso degli anni se ne serve a piacimento, anche dopo essere passato ad altri istituti e aver abbandonato il settore bancario. In tutto, effettua una serie di 126 prelievi. Usa il denaro per costruire una villa a Rovio, per comprare due appartamenti e auto di lusso e per concedersi un elevato tenore di vita. Ernesto non dubita di nulla, anche perché l’amico gli sottopone regolarmente dei conteggi dai quali risulta che il valore del capitale è lievitato a quattro milioni e mezzo. D’altro canto, il banchiere, trasformatosi nel frattempo in uomo politico e deputato, non esita a predicare la morale a tutto il Cantone: come dubitare delle sue competenze e della sua assoluta onestà?

 

Morto prematuramente suo fratello, l’imprenditore si trova ora di fronte a complicate procedure ereditarie e decide di ritirare il capitale non dichiarato per investirlo nell’immobiliare. Roger tenta di indurlo a lasciare il denaro dov’è, per evitare possibili attivazioni del fisco, ma Ernesto, che nel frattempo ha maturato i suoi progetti, non si lascia convincere. I due si trovano a cena in un locale di Mendrisio. Il deputato tira la conversazione per le lunghe, parlando un po’ di tutto: famiglia, vini, sicurezza e armi, di cui sono ambedue appassionati. Attorno alle 23 si avviano infine verso la casa di Rovio e, mentre Ernesto osserva una fotografia sulla parete, Roger gli spara alla testa. Il proiettile gli trapassa il cranio, ma Ernesto riesce miracolosamente a cavarsela. Il ferito è portato immediatamente al Civico di Lugano. Qualche giorno dopo, pensando a un incidente, Ernesto rilascia dal letto dei lamenti un’intervista televisiva, in cui ringrazia l’amico per la sollecitudine mostrata. Lo sparatore gli fa visita e concede a sua volta un’intervista televisiva, deplorando la «gravissima negligenza» di cui è stato protagonista, dicendosi immensamente rattristato e profondamente sconvolto per l’accaduto.

 

Il 6 aprile 2012 si svolgono le elezioni cantonali e Roger è il candidato UDC più votato per il Consiglio di Stato e per il Gran Consiglio, con 12’221 suffragi personali. Nel frattempo, Ernesto è stato trasferito all’ospedale di Lucerna. Durante le lunghe notti insonni, ripensando al tragico episodio comincia a farsi strada in lui qualche dubbio, ragione per cui incarica la banca di verificare lo stato dei suoi conti ad Altdorf. Viene così a sapere dell’ammanco e informa la procuratrice pubblica Fiorenza Bergomi, la quale ordina l’arresto immediato del deputato. Il seguito dell’incredibile vicenda figura in modo dettagliato nelle pagine del libro.

 

Bastonate da orbi, 
ma il morto è ancora vivo

 

Nel giugno del 2000 un consulente dell’UBS di Zurigo cercò di uccidere un anziano cliente germanico, al quale aveva sottratto gli averi portati in Svizzera per sfuggire al fisco tedesco. Il settantaquattrenne nutriva qualche sospetto e, perciò, si apprestava a trasferire il patrimonio in un’altra banca. Stava trascorrendo le ferie in Ticino, quando il consulente lo raggiunse a Lugano e lo invitò a cena. Durante il tragitto, con il pretesto di mostrargli un rustico nei boschi di Carabbia, lo pestò più volte con un bastone. Poi se ne tornò in Svizzera interna, convinto di averlo ammazzato. Fece riverniciare l’auto, chiuse i conti della vittima e seppellì il maltolto nei pressi di casa sua, nel Canton Svitto. Ai primi di luglio la sorpresa: per poco non cadde dalla sedia quando, alzata la cornetta del telefono, sentì la voce dell’anziano. L’uomo era vivo e voleva i suoi soldi! Seguirono l’arresto e il processo. Nel maggio del 2002 il consulente fu condannato a cinque anni di carcere. L’accusa ne aveva chiesti nove, sostenendo la tesi del delitto premeditato. La corte diede invece ragione alla difesa, secondo la quale l’aggressione era scaturita dal diverbio sorto all’improvviso fra i due.

 

Il caso Texon

 

Il più grande buco finanziario (fino ad allora) della storia svizzera: 1’380 miliardi di franchi. I vertici del Credito Svizzero di Chiasso avevano costituito una società nel Liechtenstein, la Texon, che funzionava come «banca nella banca» senza sottostare alle leggi svizzere. Un sistema adottato anche da altri istituti di credito. Offrendo condizioni più vantaggiose e fingendo che ci fosse la garanzia del Credito Svizzero, si convincevano clienti italiani ad affidare i soldi alla Texon, che reinvestiva in Italia nei più svariati settori. Il crollo della lira, unito ad altri fattori, portò al disastro. Lo scandalo scoppiò nell’aprile del 1977 e rischiò di mandare a gambe all’aria l’intero Credito Svizzero. Il franco perse dei punti e se ne parlò in tutto il mondo.

 

Oro rubato all’UBS di Chiasso

 

Tra il 1990 e il 1993 l’UBS di Chiasso fu teatro di un clamoroso furto: dai magazzini della banca scomparvero qualcosa come 1’330 chili di oro, per un valore di circa ventuno milioni di franchi. Un grosso cliente della banca, noto faccendiere comasco, aveva chiesto a un magazziniere (ex giocatore del Chiasso) di fornirgli dei lingotti per permettergli di recuperare le perdite accumulate in borsa. Favore a cui, dal 2002, si prestò anche il superiore del magazziniere. Oltre metà dell’oro sottratto non fu mai ritrovato.

 

Truffa da nove milioni 
all’UBS di Lugano

 

Nel luglio del 1994 toccò alla filiale UBS di Lugano. A partire dal 1990 il vicedirettore aveva sottratto più di nove milioni di franchi a due clienti. Tra questi, un ricco antiquario inglese che aveva affidato la procura del conto al fratello. Per prosciugarlo il dirigente orchestrò persino, assieme a un amico, uno scambio di persona. I due assoldarono un cambista di casinò, che assunse le veci del fratello procuratore. Con tanto di completo grigio e Herald Tribune sottobraccio, l’uomo si presentò più volte agli sportelli, facendosi consegnare dal vicedirettore suo complice importi a cinque zeri.

 

Le dimissioni

 


della ministra di giustizia Nel settembre del 1990 due fratelli siro-libanesi furono condannati per aver ripulito circa trentadue milioni di dollari. Il denaro, trasportato in aereo dagli Stati Uniti, era il provento di un traffico di cocaina del noto cartello di Medellín. Prima di mettersi in proprio, i due fratelli si erano appoggiati a una società, la Shakarchi Trading, nel cui consiglio di amministrazione sedeva il marito della ministra della giustizia elvetica (la prima consigliera federale della storia svizzera). La vicenda, emersa dalle indagini condotte in Ticino, portò alle dimissioni della consigliera e a quelle del procuratore generale della Confederazione.

 

Questi sono solo alcuni esempi dei numerosi scandali finanziari scoppiati in Ticino (e di cui, purtroppo, il nostro Cantone non sembra ancora andare esente). La ricerca di Francesco Lepori è di grande interesse. Vi hanno collaborato Paolo Bernasconi, Carla Del Ponte e Stelio Pesciallo. La prefazione è del procuratore generale John Noseda.

 

I fatti qui descritti dovrebbero almeno in qualche modo turbare la coscienza a chi non ha altre aspirazioni nella vita che accumulare denaro. In un mondo in cui i valori del buon senso, della misura, della moderazione e dell’onestà vengono troppo spesso disattesi, la lettura di questo libro dovrebbe favorire qualche riflessione.

 

*Editore - Articolo pubblicato sull’ultimo numero della rivista il Ceresio

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