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03.11.2015 - 12:080
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:43

Murat Pelit, «ha vinto la disabilità. Ma non cambierei nulla della mia vita»

Lo sciatore paraplegico è arrivato secondo, battuto solo da Lara Gut, al premio come miglior sportivo ticinese 2015. E ci ha raccontato la sua storia, una vicenda di speranza. «Lo sport e l'amore per la montagna mi hanno aiutato tantissimo»

LUGANO - Non per fare un torto a sportivi come Lara Gut, Inti Pestoni o Gregory Hoffmann, ma ieri al Palazzo dei congressi, ieri, per la premiazione del miglior sportivo ticinese, in diversi probabilmente tifavano per Murat Pelit, sciatore paraplegico. Per un ragazzo che ha saputo rialzarsi dopo che la vita lo ha duramente colpito, per una persona che si definisce timida mentre risponde alle nostre domande ma ha mostrato in realtà un'enorme forza, per una storia di vita e di sport. Ha vinto Lara Gut, però il secondo posto di Murat Pelit vale come un primo. «Non credevo di poter arrivare secondo. Non pensavo di poter battere Inti o Gregory, sportivi più conosciuti di me... . Quando ho saputo di essere secondo? Ho detto una parolaccia... (ride, ndr). È uscito il mio nome come secondo, e ho pensato che ho vinto comunque, qualcosa si muove, ho fatto passare il messaggio che ci sono anch'io. Ho avuto modo di parlare con altri atleti, e mi hanno fatto i complimenti, dicendo che me lo merito... un onore, se lo afferma chi è abituato a stare in alto e allora è una vittoria ancor più bella».Murat, ci racconti la tua storia?«Nel 2002 mi è stato riscontrato un sarcoma all'osso sacro, da li ho cominciato le varie cure e operazioni sino ad arrivare nel 2006 a togliere l'osso sacro con la conseguente paraplegia. Da lì la ripresa e la voglia di ricominciare con lo sport, di riavvicinarmi alla montagna di cui ero un amante e di cui ho sentito la mancanza. Nel 2009 ho cominciato a sciare, poi sono entrato nella Nazionale cominciando con le prime gare salendo poi proggressivamente, sino ad e arrivare alla Coppa del Mondo e sognando ora i Giochi paraolimpici».Quanto è stato importante lo sport nell'affrontare la tua malattia?«Tantissimo, volevo guarire per ricominciare a fare sport. All'inizio non pensavo alle gare ma solo divertirmi e sciare con gli amici, poi vedere di avere un potenziale mi ha infuso più determinazione. La parte sportiva ha dato una mano alla parte da ospedale. Ho fatto tutto con naturalezza. Quando mi hanno detto della mia malattia è nato qualcosa in me subito, ho reagito col pieno delle forze senza mai abbattermi nonostante oltre 60 operazioni. Se dovessi dire una cosa, non cambierei mai questa parte della mia vita, mi ha insegnato tante cose, come ad essere più forte e vicino alle persone».La tua vicenda di certo, se raccontata, può essere un aiuto per chi sta vivendo un dramma simile al tuo.«Mi capita di essere invitato a raccontare la mia storia, anche nelle scuole, per insegnare che bisogna guardare avanti. Lo faccio con amore, se posso dire a qualcuno di non mollare, che la vita è bella, e che ci sono tante cose da poter fare, anche con una disabilità e dunque esorto ad andare avanti. Lancio un messaggio».Nel premio per il miglior sportivo sei stato inserito con sportivi normodotati, cosa significa per lo sport per i disabili?«Ha vinto la disabilità, per una volta. C'è questo grande tabù, il mio è il secondo posto di tutti gli sport per disabili. Purtroppo non si fanno mai vedere i nostri risultati, i miei per esempio non escono mai. C'è interesse a far vedere le cose belle, gli atleti normodotati... non che noi siamo brutti! Assieme a un gruppo che si chiama SuperAbili cerchiamo di far capire che lo sport per i disabili è uguale a quello per i normodotati».Probabilmente dipende dal fatto che allo sport si collega un'immagine di atleta e si fatica a inserirvi la disabilità, concordi?«Sicuramente, alla disabilità si lega la sofferenza. A volte è giusto ma altre è anche sbagliato, se penso al mio esempio cerco di portare in avanti qualcosa di positivo. Ad ogni vittoria, ad ogni articolo sul giornale faccio parlare di me e apro gli orizzonti, facendo dire "guarda quella persona disabile dov'è arrivata"».
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