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15.04.2019 - 13:250

Cold case di Monte Carasso, è stato il rimorso a spingerlo a confessare? Uno dei figli aveva dei sospetti...

Secondo degli esperti interpellati dal Caffé, quando si ammette un crimine commesso dopo tanto tempo lo si fa perchè ci si sente timorosi che qualcuno possa aver scoperto qualcosa

BELLINZONA – Oggi è attesa la sentenza per l’omicidio di Monte Carasso. La morte della donna fu archiviata come suicidio, anche se a molti parve davvero strano, perché finalmente stava vivendo un periodo felice. Due anni dopo, come nei migliori episodi di Cold Case, l’ex marito ha confessato: è stato lui a ucciderla.

La Procuratrice Pubblica Chiara Borelli, convinta che l’abbia ammazzata per non pagarle gli alimenti (oltre tremila franchi mensili) e spinto dalla seconda moglie, descritta come una donna che lo trattava come un cagnolino, ha chiesto 14 anni di reclusione per lui e il carcere a vita per lei.

Il Caffè ieri ha interpellato un paio di esperti per capire come sia possibile decidere dopo due anni di confessare. Il rimorso? "Questo genere di comportamento spesso scatta quando una persona che ha commesso qualcosa di grave si sente minacciata", spiega Franco Posa, criminologo, esperto di neuroscienze forensi e direttore scientifico dell’International forensics consulting team (Ifct) con sede a Bellinzona.

Dunque, si ha paura di essere scoperti, e quindi si agisce prima. “Dietro tutto questo, come dicevo, ci sono elementi che mettono in gioco la certezza di averla fatta franca".

L’uomo si è detto pentito, eppure nel caso di Monte Carasso sarebbero emersi dei sospetti da parte di uno dei figli, che non riusciva proprio a accettare il suicidio della madre. "Quando scatta la confessione dopo anni entrano in ballo elementi molto soggettivi. E la paura che qualcuno possa avere anche un piccolo elemento di prova, il timore che i parenti della vittima scoprano il segreto e possano andare dal magistrato, alla lunga diventa un nodo da sciogliere", spiega Prosa.

Esiste, in casi simili, un reale pentimento? “Meccanismi autogiustificativi, dicevo, che consentono di andare avanti per qualche tempo trascinandosi dietro un fatto grave. Si chiama disimpegno morale. È quel meccanismo che consente appunto a una persona di trovare una giustificazione, o meglio autogiustificarsi davanti a una condotta ritenuta non morale. Questi meccanismi li abbiamo tutti. Ma in contesti di devianza si esprimono in maniera più marcata e sino ad un certo punto possono tutelarci”, aggiunge Cristina Brasi, psicologa giuridica e analista comportamentale forense, che ritiene come l’uomo, andando da un sacerdote, non vedesse più vie di scampo e non riuscisse a vivere con la colpa.

Più duro invece Prosa: Il rimorso viene usato per mettere le mani avanti, perché chi commette questo genere di delitti ha una totale assenza di empatia e non ha la capacità di rispondere nemmeno al suo difetto di coscienza che è venuta a mancare".

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