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02.03.2018 - 22:220
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:43

La campagna di No Billag ha dato un volto a noi giornalisti: una categoria ora divisa e rancorosa, ma non serve. Il mio lavoro scelto per passione

La petizione contro Vosti ha scatenato un coro di critiche, così come il sondaggio su di lui. Un po' come se fosse la gente a scegliere di rimuovere la barista o la parrucchiere: non siamo mica politici! I colleghi della RSI si sono difesi in questi mesi, dove sono stati attaccati e vivisezionati

BELLINZONA  - Poco meno di due giorni e si saprà che cosa il popolo avrà deciso in merito a No Billag. Comunque vada, il servizio pubblico per molti andrà ripensato: come, non lo sappiamo. Se avverrà, lo pensiamo, ma senza averne la certezza. Quel che è chiaro è che questa campagna, e i suoi strascichi, hanno messo la figura del giornalista sotto la lente d’ingrandimento del pubblico.

Basti pensare alla petizione di oggi di Ghiringhelli, che tanto ha fatto discutere, per rimuovere Andrea Vosti dal suo ruolo di corrispondente USA perché a suo dire fazioso. Si è scatenato il putiferio, con la solidarietà di molti al collega, che non conosco personalmente, e addirittura un sondaggio su un portale sulla sua faziosità. Un’altra collega, che invece conosco, che l’ha criticato, è stata ripresa in modo duro da un lavoratore di questo portale. Insomma, siamo al tutti contro tutti, pur nella stessa categoria, ed è qualcosa che sorprende.

Che si sia in un certo senso in competizione, ci sta. La realtà di portali come il nostro è quella di inseguire, se si può, lo scoop, di approfondire la notizia da un’angolazione particolare, di dare un qualcosa in più che faccia cliccare sulla nostra news. E come lo è per noi, lo è per tutti. Eppure si è comunque colleghi, come bancari di istituti diversi, ognuno che desidera che la sua banca faccia il fatturato maggiore e poi magari si trovano a pranzare assieme. I giornalisti dello stesso settore sovente si conoscono, si incontrano, alle conferenze stampa, agli eventi, raccolti attorno a una notizia. Non sorprenderà nessuno se si ammette che a volte comunicano e si aiutano, tu dai una mano a me e io la do a te, semplicemente perché condividiamo lo stesso mondo, lo stesso modo di vivere, le stesse problematiche e le stesse gioie.

È già capitato di sentir parlare di invidie, nell’ambiente. E dove non ce ne sono? Qualcuno, a mezze labbra, ha sempre detto che chi lavora in RSI è un po’ privilegiato. Non lo so, sono felice qui a TicinoLibero e non me ne preoccupo, onestamente. Da quando c’è No Billag, lo dicono in più persone e più ad alta voce. Da qui a scatenare una guerra senza esclusione di colpi, ce ne passa. I colleghi della RSI sono stati protagonisti loro malgrado della campagna, attaccati, strumentalizzati, sovente hanno risposto, alzando i toni. Sono da capire: difendono il loro lavoro, che svolgono comunque al massimo del loro impegno. Chiunque, se vedesse attaccare la sua attività lavorativa si difenderebbe. Poi c’è chi lo fa bene e chi meno, ma quello è sottinteso.

La campagna elettorale su No Billag ha messo la categoria al centro dell’attenzione, appunto. Da qualcuno che sta semplicemente dietro un pc o uno schermo, siamo diventati dei nomi. Per chi lavora in tv, ovvio, è più semplice: si conoscono nomi e volti perché appaiono, si sente la voce, si nota la postura del corpo. Per noi che siamo al pc, è un po’ più difficile.

Ma chi siamo, noi giornalisti? Parlo per me. Questo mestiere l’ho voluto fare da sempre. Per passione, forse per migliorare il mondo, chi lo sa. Ben presto ho capito che farlo è quasi impossibile, e che la quotidianità prende il posto dell’idealismo. Però a volte è bello poter raccontare una storia, e sentire la solidarietà, sentire il protagonista ringraziare per essere stato fatto uscire dall’ombra: spesso non cambia nulla, ma ci si prova, e qualche volta ci si riesce.

Noi giornalisti siamo persone con un carattere, delle simpatie, delle idee, delle passioni. Al momento di scrivere, dobbiamo essere oggettivi, neutrali, equidistanti. È il minimo che viene chiesto dalla deontologia, naturale. Non sempre è facile, se a tradire può essere il viso, come nel caso di Vosti secondo Ghiringhelli. Da quando si parla di No Billag, si disquisisce sulle simpatie di ognuno, in particolare di chi lavora in RSI: sono stati vivisezionati, i nostri colleghi. Hanno tirato fuori gli artigli.

Qualcuno si è sentito insultato, Vosti addirittura con una richiesta di rimozione. Come se chiunque potesse far rimuovere la barista per un caffè a nostro avviso troppo amaro o la parrucchiera per una tinta mal fatta. Come se il datore di lavoro, in questo caso la RSI, non avesse voce in capitolo ma dovesse sentirsi dire cosa fare dalla gente. Come se fossimo politici, scelti dagli elettori. Non lo siamo, come non lo sono la barista o il parrucchiere. Possiamo piacere o no, e ci mancherebbe. I complimenti fanno piacere, le critiche se costruttive si accettano, se cattive e fuori luogo, beh, si ignorano. Se non si conoscono i meccanismi del mestiere, a volte è facile parlare senza sapere. Un po’, appunto, come se io andassi dalla parrucchiera a dire come farmi la tinta.

Domenica No Billag sarà il passato, o un nuovo punto di partenza. Lo vedremo. Cosa riserverà il futuro alla categoria dei giornalisti, chi lo sa. Una categoria ora divisa, un po’ rancorosa, un tutti contro tutti.

Ma in fondo, a che serve? Ciascuno fa il suo lavoro e lo fa come ritiene meglio. Sbaglia, come tutti. Fa bene, come tutti. Al netto, so che se ci si mette passione, in questa splendida professione che mi son scelta, i lettori lo sentono e gradiscono, voi gradite. Quindi, basta farsi la guerra, o farla ad altri, con petizioni ad personam: i migliori emergeranno, come in ogni professione, come è sempre stato.

Paola Bernasconi
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