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Cronaca
04.10.2017 - 09:000
Aggiornamento: 21.06.2018 - 14:17

Vittoria storica per il dialetto. "Multiculturalità non è escludere le nostre tradizioni ma dare loro un posto preponderante. Insegnarlo è uno strumento di integrazione"

Nicholas Marioli ha promosso la mozione, largamente approvata a Lugano, per l'insegnamento facoltativo del dialetto. "Giusto aprirsi al mondo ma anche ricordare l'attaccamento al territorio. Il futuro dei giovani ticinesi deve essere qui. Coinvolgeremo il centro di dialettologia, e le commedie..."

LUGANO – Il dialetto verrà insegnato, in modo facoltativo, nel dopo scuola per le elementari luganesi. Lo ha deciso l’altro giorno il Consiglio comunale, approvando largamente una mozione del leghista Nicholas Marioli. Passo avanti verso le tradizioni o di chiusura verso il mondo, mentre il  Governo non vuole anticipare il tedesco?

Ne abbiamo parlato con lo stesso Marioli.

Si aspettava una vittoria di quelle dimensioni?
“Certamente quando ho lanciato la mozione no, dopo le prime discussioni all’interno della Commissione petizione, con la firma unanime di tutti i commissari mi aspettavo un risultato positivo però non 54 voti favorevoli contro 4. Un risultato storico”.

Cosa ha spinto 54 persone a votare nella sua direzione?
“Hanno intravvisto l’importanza del dialetto e hanno capito la buona fede di questa proposta, visto che anche la sinistra ci ha sostenuto. Hanno capito che il dialetto non è un mezzo per disunire ma uno per unire. Il corso non è per creare le classi e separare, bensì per integrare, e la mozione è stata percepita bene”.

Qual è dunque l’importanza del dialetto, anche per i giovani?
“Rappresenza le nostre tradizioni, le origini, è la lingua dei nostri nonni, per cui sarebbe un peccato non portarla in avanti. È anche sinonimo di attaccamento al territorio”.

Siamo in una società multiculturale, non è particolare far parlare il dialetto a bambini che vengono magari dall’altra parte del mondo?
“Multiculturale significa includere anche la nostra cultura, se per multiculturale vuol dire escludere la nostra tradizione. Non va esclusa, anzi deve avere un ruolo preponderante, e se ci sono bambini stranieri che lo imparano, ben vengano”.

Le rivolgo una piccola provocazione: il Consiglio di Stato non è propenso ad anticipare l’insegnamento del tedesco, che è indispensabile per i giovani, e voi approvate il dialetto… Non è un controsenso, cioè vanno bene le tradizioni ma bisogna aprirsi al mondo?
“Farlo è giustissimo ma dimenticare chi siamo e dove veniamo no. Da una parte è esatto dare la priorità al mondo del lavoro e alle lingue, dall’altra è corretto mantenere le nostre origini. La nostra mozione era comunque soft, si parla di insegnamenti facoltativi alle elementari. Un conto è proporre qualcosa di facoltativo nei dopo scuola, un altro inserire una materia nella griglia. Non significa chiudersi, bensì dare la possibilità agli altri di essere integrati fino in fondo. Se nessuno dà gli strumenti a chi arriva nel nostro paese, essi avranno più difficoltà. Per noi è anche una risposta in tal senso”.

C’è nascosto un sogno, suo e non solo, di far sì che i giovani conoscano meglio il Ticino per non lasciarlo? Immagina un domani dove si possa rimanere qui?
“Sicuramente, non vedo perché i giovani ticinesi devono emigrare in Svizzera Interna o all’estero e perché non possano avere un lavoro e non possano autodeterminarsi nel loro Cantone. Il futuro ci deve essere, soprattutto per  i nostri giovani. Conoscere di più le tradizioni è un mezzo? Sì, è una delle possibili proposte per aumentare l’attaccamento al territorio”.

I corsi saranno facoltativi, coi genitori che decideranno: e se nessuno volesse iscrivere i figli?
“Mi deluderebbe molto se non ci fosse un riscontro, però la libertà del singolo viene prima. Se nessuno decide di iscriversi, vuol dire che il problema non era sentito”
.
Significherebbe che le famiglie non vogliono far crescere i figli attaccati alle tradizioni?
“Stiamo parlando del futuro, è difficile dirlo ora. Se non ci fossero adesioni mi dispiacerebbe ma sono convinto che non sarà così. Io vedo necessità di cambiare, di fare qualcosa di nuovo, di andare controcorrente, e la misura è stata sentita dalla gente, c’è bisogno di proposte così. Penso alla civica, che va nella stessa direzione”.

In che cosa le vede simili?
“La votazione sulla civica proponeva di dare maggiori strumenti ai giovani per esercitare i loro diritti democratici, qui vogliamo dare quelli per portare avanti il tema dialettale. I giovani non si sentono ticinesi o svizzeri? Non credo che noi giovani ci sentiamo così, si sono perse le tradizioni perché si vive in un mondo multiculturale e globalizzato, dove si pensa solo al posto di lavoro che è poco stabile e si sono perse cose di importanza capitale, quello che noi siamo. Non penso ci siano ticinesi che disprezzano il dialetto, magari non lo conoscono, non vuol dire che non lo apprezzerebbero”.

Come vi organizzerete?
“Vanno coinvolte personalità che sul territorio hanno avuto a che fare col dialetto, con libri, commedie, eccetera, per fare un programma per trasmettere il messaggio. Non è facile trovare insegnanti ma non è impossibile, pensiamo al centro di dialettologia con cui si potrebbe fare un buon lavoro. E anche chi ha recitato nelle commedie dialettali, che purtroppo sono state tagliate dalla RSI, un segno che il dialetto viene più snobbato: una tendenza che vogliamo combattere”.

Paola Bernasconi
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