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Cronaca
16.11.2017 - 18:080
Aggiornamento: 21.06.2018 - 14:17

Dentro Manor. "Cacciato perché tenni testa a un capo. Gli apprendisti tappabuchi, i trucchi per mascherare i licenziamenti, gli avanzamenti di carriera di chi tace", il racconto di un ex quadro

Un ex dirigente dell'azienda, nel campo della formazione, ci ha contattato per raccontarci la sua esperienza. "Prima era come stare in una famiglia, era il posto di lavoro per tutta la vita. Poi è cominciata l'ecatombe. Adesso chi è lì ha il terrore di essere cacciato"

BELLINZONA – Entrato in una grande famiglia, si è trovato fra i quadri dirigenti ed è stato cacciato all’improvviso per aver tenuto testa a un capo. È l’ennesima storia che ci viene raccontata relativamente a Manor (mentre non ci sono arrivate segnalazioni legate ad altri grandi magazzini).

“A 20 anni facevo qualche lavoro, alcuni giorni, per guadagnare durante gli studi”, ci racconta quest’uomo, attorno ai 35 anni. “Ero a Mendrisio, mi trovavo in una famiglia, c’era un clima familiare dove ci si conosceva e ci si aiutava tutti, con tanto personale”. Dopo aver finito l’università, non trova lavoro nel suo campo e chiede al capo personale di poter tornare. Gli dicono che col suo curriculum è sprecato, ma viene assunto con contratto a tempo indeterminato come quadro intermedio nella sede centrale di Basilea come responsabile di formazione per il Ticino, “all’inizio un po’ a supporto visto che eravamo quattro persone”.

L’ecatombe arriva dopo poco. “Manor era uno di quei posti per la vita, ai tempi. Ma la prima avvisaglia di quel che stava accadendo, diciamo 5-6 anni fa, è arrivata col licenziamento di una collega. Dopo una brutta malattia, era rientrata e le è stato detto che il posto che aveva ricoperto per 27 anni non c’era più. Non potendo cacciarla così hanno usato un trucco sporco, proponendole la stessa percentuale al servizio clienti a Vezia. Avendo delle bambine e dovendosene occupare da sola, non ha potuto accettare. Un’altra collega ha trovato un altro posto, e siamo rimasti in due”. E la formazione di apprendisti e capi filiale è nelle sue mani.

“Ho visto uno scollamento fra le direzione generale. Ci chiedevano di formare personale orientato al cliente, che deve avere la priorità. Ma doveva al contempo preparare per esempio il negozio, per cui non era possibile”, prosegue. E c’era disagio, “dovevo far passare messaggi contradditori, il personale non aveva gli strumenti per lavorare nel modo chiesto”.

Lo ha colpito il caso di un apprendista. “Un ragazzo che ho seguito per quattro anni ha vinto i campionati di miglior apprendista nel commercio al dettaglio in Ticino, e ha vinto anche a Berna e come miglior apprendista di tutti i settori: un exploit di cui andare fieri, l’azienda ne parlò molto sui media. Ma dopo qualche anno lo rividi in un altro negozio: gli avevano proposto solo un tempo ridotto”. In generale negli anni venivano seguiti meno “e assunti per tappare buchi, per avere personale che costava meno, affiancato anche non da maestri di tirocinio. Poi spesso dopo l’apprendistato venivano lasciati andare”. Sa che altri grandi magazzini come Coop e Migros invece tendevano a tenere i loro giovani. “Non sono più a stretto contatto, secondo le voci ora alla Manor prendono frontalieri”.

Anche fra il personale non tutto andava bene, anzi. “La gente veniva chiamata in ufficio e spostata di sede, con una percentuale ridotta. E accettava per non restare a casa.  Succedeva sia a residenti che frontalieri, indistintamente”. E il nostro interlocutore, in una riunione dei quadri a Basilea, si permette di far notare che “la strategia che stiamo adottando è forse da rimettere in discussione, visto che anche le cifre non miglioravano, anzi”. Il capo delle risorse umane generale difende la strategia, lui gli risponde, sostenendo la sua idea.

“Due mesi dopo sono stato chiamato e avevo la lettera di licenziamento, senza nessuna controproposta. La lettera di buonuscita mi faceva sembrare Superman, e si parlava di tagli al personale e riorganizzazione del personale però io credo che sia stato a causa di quell’episodio. Tra l’altro avevo formato una collega, con meno qualifiche di me, nessuna in ambito di formazione: tutti credevano che avrebbe assunto il mio ruolo e io sarei diventato capoufficio. Invece lei, che veniva dalle risorse umane, ha messo la firma sul mio licenziamento, diventando capo. Non ha colpa, ovviamente. Comunque, ho dovuto lasciare il posto in tre ore, mi hanno lasciato libero da subito, pur pagandomi i tre mesi. Nulla da dire dal punto di vista economico, anche se sono caduto in una brutta depressione”, ricorda.

Gli chiediamo com’era il quadro tra i dirigenti. “Negli ultimi anni della mia esperienza si sentiva molto la pressione. Nessuno era più sicuro del posto, si poteva saltare dal mattino alla sera, a tutti i livelli. E non si osava dire nulla, non si facevano più valere le posizioni. Chi è andato avanti e ha ricevuto promozioni era perché chinava la testa e dava ragione a tutto”.

Venivano effettuati anche 400 licenziamenti per volta in tutta la Svizzera. “Per mascherarli, si facevano ondate di assunzioni, però part time, in parte di frontalieri e in parte no. Se si guarda sul sito ci sono molte posizioni aperte, per cui si pensa a un’azienda con un gran ricambio. Ma si lascia a casa un lavoratore al 100% e ne vengono assunti due al 20%”.

Al nostro interlocutore comunque è andata bene. “Non tutto il male vien per nuocere”, ci dice, avendo trovato un lavoro conforme al suo campo di studi. Non dimentica “le modalità e il poco rispetto, verso molta gente, lasciata a casa senza motivazioni, senza essersi mai risparmiata. Non l’ho mai fatto neppure io. E tutti quelli che sento ancora mi dicono che vivono col terrore”.
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