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Cronaca
20.03.2018 - 19:010
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:51

"Vivo sola, ho una camera vuota: sarei disposta a ospitare una rifugiata. Se si fa in Svizzera francese, perché non in Ticino?"

Diversi articoli sull'esperienza di condivisione di una casa con i rifugiati ha smosso la voglia di una ticinese di provarci: "preferirei una donna, magari una ragazza a cui poter fare un po' da mamma. Mi piacerebbe mostrare a queste persone che c'è chi è disposto a dare una mano, che non sono soli. Paure? No"

MENDRISIO – Maria (nome di fantasia, quello reale è noto alla redazione) ha attorno ai 55 anni, vive sola e sarebbe disposta a accogliere un rifugiato. “Perché no?”, ci dice, dopo aver letto numerosi servizi che alcuni media stanno dedicando a chi, in particolare in Svizzera Romanda, condivide casa con persone venute da lontane per cercare riparo in Svizzera.

“Ho una casa, non enorme, con una camera vuota, e sono da sola. Potrei ospitare qualcuno, avrei oltretutto compagnia. Se ci fosse qualcuno che verrebbe, preferibilmente una donna, non vedo perché no. Non saprei se in Ticino si può fare e a chi potrei chiedere”, spiega. Ha avuto a che fare con l’Associazione Firdaus e dunque conosce il mondo dei rifugiati. “Sono anni che aiuto i migranti. E ospiterei qualcuno per solidarietà e perché mi spiace vedere certe situazioni, per far vedere che queste persone non sono sole, che c’è qualcuno disponibile a dare una mano”.

Ovviamente, l’ospitalità sarebbe gratuita. Vorrebbe qualcosa in cambio, magari aiuto domestico?
“Non posso andare a chiedere un affitto, naturalmente. Chiederei una convivenza, dove ci si aiuta a vicenda. A dire il vero, vivo con veramente poco e non ho enormi possibilità, però credo che dove c’è per uno c’è anche per due, ci si arrangia”.

Preferirebbe una donna, giusto?
“Sì, le donne mi sono più vicine, mi sembrano le più vulnerabili. Non avrei preferenze di età, però ospiterei volentieri una ragazza, in modo da poterla inserire nella comunità. Vorrei farle un po’ da mamma, per prima cosa dovrebbe imparare la lingua”.

Probabilmente sarebbero persone con qualche trauma o problema psicologico dopo quanto vissuto, se la sentirebbe?
“Se prima non ci si prova non si sa. Viaggio abbastanza, ho visto paesi in via di sviluppo con situazioni tristi e penso che potrei benissimo essere d’aiuto a qualcuno che se l’è vista brutta”.

Non ha nessun tipo di paura a ospitare qualcuno che viene da lontano e ha avuto brutte esperienze alle spalle?
“No, paura proprio no. Sono cose che si affrontano secondo me al momento, le soluzioni si trovano”.

Crede che ci siano persone in Ticino disposte a fare come lei?
“Penso ci siano. Ho partecipato a qualche tappa della marcia di Lisa Bosia Mirra, ho visto molta gente coinvolta che vorrebbe far qualcosa e penso che se viene stimolata, coinvolta, spinta, avrebbe voglia. C’è gente con case, appartamenti. Perché se si fa in Svizzera francese non si potrebbe fare qui? È vero che c’è chiusura, ma non sono tutti così. Bisognerebbe fare un tentativo, chiedere se sarebbero disposti a prendere qualcuno in casa. Magari farebbe riflettere. La destra  punta il dito soprattutto per chi viene e vuole farsi mantenere e non lavorare. Di sicuro c’è gente così, però anche molti degli altri”.

Dunque, lanciamo un appello…
“Trovo che sarebbe una buona cosa. Lo hanno fatto negli anni ’70 con i cileni, conosco diverse famiglie, anche se lì non era legale, dunque perché ora no?”.

Paola Bernasconi
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