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22.03.2018 - 11:000
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:51

Lo scandalo dei dati rubati, come proteggersi? "Per prima cosa, togliere la geolocalizzazione da Facebook, e fare attenzione a cosa si pubblica. WhatsApp invece..."

Il social network è nella bufera, Paolo Attivissimo ci spiega che cosa è successo e dà alcuni consigli. "In Europa, la legislazione è più severa, in Svizzera c'è attenzione alla privacy. Mi colpiscono la sfacciataggine e il cinismo di Cambridge Analytica. Facebook sopravviverà ma andrà verso un declino naturale"

BELLINZONA – Facebook è nella bufera, dopo che si è saputo come Cambridge Anayltica abbia usato i dati degli utenti per manipolare elezioni politiche. Le perdite in borsa sono enormi, è partita una class action contro il social network, in molti predicano la cancellazione dei profili. Solo ieri Mark Zurckenberg si è espresso con un post, “sono responsabile. Se non proteggiamo i vostri dati non meritiamo la vostra fiducia. Verificheremo ogni app sospetta”.

Cosa accadrà ora? Come comportarsi? Ne abbiamo parlato con Paolo Attivissimo.

Si aspettava che si sarebbe arrivati a questo punto?
“Una situazione del genere era prevedibile, fa parte dell’inevitabile raccolta massiccia di dati che fa un social network come Facebook, Quello che mi ha stupito è la sfacciataggine con cui i membri di Cambridge Analytica sono andati a vantare la loro capacità di interferire nelle elezioni. È come se vivessero su un altro pianeta, manipolano, mettono magari al potere un dittatore, e dicono che tanto a loro non interessa. Lo trovo molto cinico”.

Come hanno operato? Una volta presi i dati, come hanno agito?
“Con delle analisi statistiche, che sono quelle che si fanno quando si hanno molti dati a disposizione e di tante persone. Le hanno correlate con la localizzazione, per esempio gli indirizzi di casa, e poi hanno iniziato a mandare dei messaggi politici mirati. Per esempio, se nel Tennessee hanno scoperto che c’è la famiglia Brown ed è repubblicana, vive in una zona con molti delitti, dunque ha senso fare una campagna promozionale sulla legittima difesa, sulle armi piuttosto che una sulla fiscalità”.

Per ora si parla di Usa e Regno Unito. In Svizzera a che punto siamo, lontani dalla manipolazione di un’elezione o potrebbe capitare?
“La mia impressione è che gli esperimenti di manipolazione delle elezioni e della propaganda sono stati fatti anche in altri paesi. Se si può estendere alla Svizzera è da scoprire, perché la raccolta dei dati che può fare Facebook in Europa è diversa da quella che fa negli USA. Per fortuna la vigilanza è severa su come possono operare, anche se l’abuso può esserci, quando una terza società vuole raccattare dei dati e non rispetta le leggi tutto può succedere. I cittadini svizzeri secondo me sono consapevoli sulla privacy, pensiamo a quando chiesero a Google di oscurare i volti e le targhe quando andavano in giro con Google Car per la mappatura del paese. Il rischio che a furia di abituarsi a mettere online tutto quel che si fa può creare sufficienti dati per profilare politicamente buona parte della popolazione”.

Parlava di differenze fra USA e Europa: a livello di legislazione?
“La normativa europea per esempio vieta il riconoscimento facciale automatico, mentre Facebook può identificare le persone nelle foto anche se non sono taggate. E ci sono altri dati come l’orientamento politico, sessuale, religioso che hanno tutele giuridiche severe. Il mercato dei dati è più regolamentato in Europa rispetto a quello americano dove siamo vicini al Far West”.

La maggior parte dei dati sono stati presi da app che propongono test, giusto?
“Le app sono una parte del procedimento di raccolta dei dati. Da quel che risulta, l’impressione è che ci siano altre fonti di raccolta di informazioni, anche pubbliche. Pensiamo a una società commerciale, che ha magari accesso ai dati sulle telecamere che registrano le infrazioni sul traffico o all’anagrafe dei contribuenti o a quelli medici delle compagnie assicurative, tutto può essere incrociato. La cosa importante è che non si tratta solo di noi cittadini che partecipiamo a un social e regaliamo le informazioni, noi svizzeri o gli americani, ma si è trattato di approfittare dell’ingenuità delle persone per prendere dati anche degli amici, senza il loro consenso”.

Come ci si può proteggere, facendo sì che Facebook sia un divertimento senza rischi?
“Innanzitutto consiglio di togliere la geolocalizzazione, uno dei dati che più facilmente viene ceduto e soprattutto è uno dei più interessanti per la vendibilità. Se so che un consumatore di Camorino mangia un certo prodotto, e lo vedo dalle foto, è un dato interessante. Se non si sa dove sia in Svizzera, è diverso. Poi bisogna pensare ai dati che si mettono online, come le opinioni politiche o sulla sfera religiosa o sessuale. Va usato come un divertimento e non come un luogo dove affrontare grandi dibattiti. Va benissimo la foto dell’arcobaleno che non cambia il mondo, non mettersi a discutere dei massimi sistemi, farlo dove sappiamo di essere sorvegliati non è una bella idea”.

Pensa che Facebook sopravviverà?
“Ne esce con le ossa rotte. Non penso arriveremo al tracollo. Ci sono 2 miliardi e mezzo di persone che hanno riversato amicizie e vita sociale su Facebook e avranno poca voglia di dissociarsi, diventeranno forse più prudenti, con meno informazioni e si assisterà a un declino più naturale. Vedo già nelle scuole che i giovanissimi sono tutti su Instagram, pochi su Facebook, giudicato da nonni”.

Per quanto concerne altre applicazioni come WhatsApp, cosa si deve fare e che rischi ci sono?
“Teniamo presente che Facebook è proprietaria di WhatsApp e Instagram, alla fine si contribuisce alla raccolta dati. Si deve essere selettivi, chiedersi come funzionano questi social. Penso che se ce ne fosse uno a pagamento, anche solo 5 franchi al mese, che non vende dati, molti lo sceglierebbero. Ci sono tecniche online che spiegano come spegnere la localizzazione, non farti taggare, come non avere app che rubano dati ancor più di quella di base, per usare tutto in modo costruttivo senza essere divorati. Per WhatsApp parliamo di un caso particolare: per contratto, accede a tutti i numeri delle nostre rubriche, giochiamo anche coi dati degli altri. WhatsApp promette che non possono essere lette le conversazioni, o ascoltate. Teoricamente è corretto ma si sa con chi si parla e quando. Se parlo con un avvocato per tre ore in piena notte, probabilmente ho un problema serio, o una donna conversa con un medico nel weekend non lo fa per parlare di Formula Uno. Con questi metadati, ovvero dati di contorno, si possono dedurre tante cose, tra cui il tipo di rapporto fra le persone. Sono questioni a cui non si pensano, trappole poche intuitive. E lo strumento di marketing conta sul fatto di offrire qualcosa di gratuito, che troviamo comodo e ci piace. Ma se non lo paghiamo in denaro, come lo paghiamo? In dati!”.

Paola Bernasconi
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