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Cronaca
15.08.2018 - 16:060

Crollo del ponte Morandi, i morti sono 42. Nel mirino la famiglia Benetton, che gestisce Autostrade per l'Italia

Il ministro Di Maio: "Autostrade ha la sede finanziaria in Lussemburgo, quindi manco pagano le tasse. Se il ponte era pericolante dovevano dire che andava chiuso"

GENOVA - Il bilancio del crollo del ponte Morandi a Genova continua ad aggravarsi. I morti accertati sono saliti a 42. Tra le vittime ci sono anche tre bambini di 8, 12 e 13 anni, ma il conteggio cresce man mano che i corpi vengono recuperati.

Sono 5 le persone ancora non identificate. Quindici i feriti ricoverati negli ospedali, tra cui 12 in codice rosso.

 

I soccorritori hanno continuato a scavare senza sosta ma da sotto i cumuli di detriti non giunge più alcun segnale di vita da ieri sera.

 

Oggi sono state sospese tutte le operazioni di ricerca in quanto c’è il rischio che crolli una parte del pilone autostradale rimasta pericolante. E la struttura incombe sulle case. Oltre 400 persone sono state evacuate per precauzione dalle loro abitazioni.

 

Ma quando ancora è incerto il bilancio finale di questa tragedia è già tempo di riflessioni. Fin da ieri ci si chiedeva come quel viadotto sia potuto improvvisamente crollare. La risposta sta nel fatto che quel ponte era da anni a rischio di crollo! E i fratelli Benetton, padroni del celebre marchio di abbigliamento nonché della società autostrade, sono nel mirino dell’opinione pubblica e dei social.

 

La società Autostrade sapeva che c’era un’emergenza, tanto che a maggio aveva bandito un appalto da 20 milioni di euro con procedura ristretta, per accelerare i tempi, con l’obiettivo di rinforzare i “tiranti” superiori, il cui cedimento rappresenta agli occhi degli esperti la probabile causa della sciagura.

 

I lavori, molto delicati, complessi e invasivi, dovevano iniziare subito dopo l’estate, ma evidentemente i calcoli erano sbagliati e non risulta fossero installati sensori per monitorare in tempo reale la tenuta del viadotto, si legge in un articolo pubblicato dal quotidiano La Stampa.

 

AUTOSTRADE PER L’ITALIA CONTROLLA SE STESSA

 

Autostrade, aggiunge il giornale, è, di fatto, l’unico controllore di se stesso, esegue con personale proprio ispezioni e (auto)certificazioni, oppure le affida a consulenti pagati dalla medesima società. Nessun ente pubblico compie screening autonomi, perversione d’una norma le cui conseguenze possono essere catastrofiche.

 

E ancora: già a fine Anni 90 l’Ordine degli ingegneri di Genova, lo conferma a La Stampa Donatella Mascia che ne fu presidente dal 1993 al 1999, propose nero su bianco di affiancare alla struttura in calcestruzzo una in acciaio, per alleggerire Morandi ritenuto incontrollabile dato l’incremento del traffico. “I politici - spiega Mascia - preferirono continuare a discutere di fantascientifici tunnel sottomarini, mai realizzati, e il ponte rimase così com’era fino al crollo”.

 

Autostrade per l’Italia aveva capito che il problema stava sopra, e non sotto. L’incubo era rappresentato da quelli che volgarmente chiamiamo tiranti, ma che sul piano tecnico si definiscono ‘stralli’, anima in metallo e rivestimento in calcestruzzo, i bracci che scendono dalla sommità dei piloni verso la strada a disegnare una serie di V rovesciate, e dovrebbero tenere sospeso il piano su cui corrono i mezzi.

 

L’articolo de La Stampa pone una serie di legittime domande: “Che obblighi di vigilanza aveva Autostrade per l’Italia? Chi esegue le verifiche? Quanto può metterci il naso lo Stato? Poiché il viadotto è stato realizzato nel 1967, il gestore non deve fornire un piano di manutenzione (il diktat vige per chi ha incarico le strutture nate dal ‘99 in poi). Non solo. Autostrade esegue per legge due tipi d’ispezione, certificate una volta compiute: trimestrale con personale proprio (controlli sostanzialmente visivi) e biennale con strumenti più approfonditi. In quest’ultimo frangente, al massimo, la ricognizione viene affidata a ingegneri esterni, ma alla fine sempre pagati da Autostrade. Né gli enti locali, né il ministero delle Infrastrutture intervengono con loro specialisti. E di fatto non esistono certificazioni di sicurezza recenti che non siano state redatti da tecnici retribuiti da Autostrade per l’Italia”.

 

“BENETTON VERGOGNA!”

 

Il linciaggio mediatico è iniziato subito dopo le dichiarazioni dei ministri Luigi Di Maio, Matteo Salvini e Danilo Toninelli contro la società Autostrade per l'Italia che, attraverso Atlantia, è controllata dai Benetton. "Adesso ti metterai una maglietta rossa per le vittime di Genova?", scrive un utente rivolgendosi a Oliviero Toscani che il mese scorso aveva manifestato contro le politiche del governo di chiusura dei porti ai barconi carichi di immigrati clandestini.

 

Gli utenti dei social network si stanno scatenando contro i Benetton postando fotomontaggi, come quello dove si vede il ponte Morandi con la scritta "United Colors of Benetton". "Non comprerò mai più un capo di abbigliamento Benetton", scrive una utente. E molti criticano le campagne sociali fatte negli ultimi anni dal gruppo: "Fanno propaganda immigrazionista - si legge in un post - si preoccupano dei migranti e mostrano il loro volto buonista ma sono gli stessi che lasciano crollare ponti e morire il nostro popolo. Nazionalizzare le autostrade, basta speculazione".

 

Nel mirino anche i governi guidati da Romano Prodi e Massimo D'Alema, che hanno assegnato la concessione alla famiglia Benetton. Concessione che è stata poi confermata dall'ex premier Matteo Renzi.

 

"Per la prima volta – ha dichiarato Luigi Di Maio ai microfoni di RaiNews - c'è un governo che non ha preso soldi da Benetton, e siamo qui a dirvi che revochiamo i contratti e ci saranno multe per 150 milioni di euro. Autostrade ha poi la sede finanziaria in Lussemburgo, quindi manco pagano le tasse. Se il ponte era pericolante dovevano dire che andava chiuso".

 

IL J’ACCUSE DI MARIO GIORDANO: “QUESTI SONO I FAMOSI IMPRENDITORI ITALIANI”

 

Nel suo libro-j’accuse “Avvoltoi”, il giornalista Mario Giordano aveva scritto l’anno scorso: “Bankitalia ha calcolato infatti che ogni chilometro di autostrada nel nostro Paese rende 1,1 milioni di euro (il doppio della Spagna, il triplo della Grecia, infinitamente più della Germania dove le autostrade sono gratis). Di questi la gran parte (850.000 euro al chilometro) finisce alle concessionarie. Che, per altro, ci aggiungono ulteriori guadagni: per esempio gestendo le attività commerciali sulla rete autostradale e assegnando appalti per i lavori di manutenzione a società che fanno parte del loro stesso gruppo. Non è un incastro meraviglioso?

 

Questi sono i famosi imprenditori privati italiani, bravissimi come sempre ad assumere il rischio d’impresa a patto di avere le spalle ben coperte dal denaro pubblico: ottengono concessioni senza gare, gestiscono appalti senza concorrenza e soprattutto non rischiano mai un soldo di tasca loro, perché gli investimenti (quando ci sono) se li fanno pagare in anticipo dagli italiani. Quando la società Autostrade era pubblica, si diceva fosse la ‘gallina dalle uova d’oro’ dello Stato.

 

È rimasta tale, evidentemente. Solo che le uova d’oro finiscono direttamente dal casello alle tasche dei Gavio o dei Benetton, che non a caso guidano la classifica dei Paperoni 2017: il patrimonio dei primi è cresciuto del 101 per cento, passando da 1,9 a 3,9 miliardi di euro; il patrimonio dei secondi è cresciuto del 20,2 per cento, passando da 6,8 a 8,1 miliardi di euro. Fortunati loro, si capisce. Ma noi potremo almeno chiederci se è giusto farci spennare al casello per renderli sempre più ricchi?”.

 

 

 

 

 

 

 

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