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04.06.2018 - 14:240
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:43

Guideshop, al confine fra showroom e e-ecomerce, non per il Ticino. Coen: "complicato, per grandi e piccoli. La gente va a Arese a far shopping e poi vuole il posto di lavoro qui..."

"Per creare lavoro, le ditte ticinesi devono incassare", afferma lo storico commerciante di Chiasso. "Qualcuno addirittura prova la merce, saluta e poi ordina su Internet. L'e-commerce ci ha danneggiato, così come gli acquisti oltre frontiera: sicuri che per tutto valga la pena? 300 ditte hanno chiuso..."

CHIASSO – E-commerce unito al “reale”: ovvero, si prova la merce, non si compra ma poi si ordina in Internet. La nuova frontiera, da qualche anno, si chiama guideshop. Come ogni evoluzione, aiuta qualcuno a trionfare e purtroppo fa cadere altri. Il Ticino da che parte potrebbe stare?

Ne abbiamo parlato con Carlo Coen, commerciante di Chiasso. “Questo metodo arriva dall’America: loro sono avanti di dieci anni, almeno, rispetto a noi, e vedono le cose ben prima! L’e-commerce ha raggiunto l’apice e inizia a scendere, la gente ricomincia a voler andare nei negozi e assaporare il piacere di provare le cose. Dunque, cosa hanno pensato? Un’unione dei due fattori, creando degli showroom, dove non si vende niente, in cui si entra, si provano i capi, magari uno solo per modello. Scegli modello, colore, taglia, poi il giorno dopo ti arriva a casa”.

Applicabile anche in Ticino? Quanto meno per i grandi magazzini…
“Da noi qualcosa del genere per i centri commerciali diventa dura. Come si può gestire? Per Zalando o Amazon è semplice, Zalando si è espansa in questo modo anche a Milano e piano piano arriveranno showroom in tutta la Penisola, Amazon aprirà qui quindi rischiamo di trovarli anche da noi. Sfruttano il magazzino della logistica che già hanno. Calcoli che spesso e volentieri la gente entra nei negozi, prova per la taglia e poi compra su Internet…”

Un modo molto scorretto. Lo fanno veramente?
“Soprattutto nei negozi di sport, spesso, meno in quelli di abbigliamento, diciamo, normali. Capita quando cercano accessori speciali: chiedono, provano, ringraziano e non comprano, vanno a casa e ordinano online. Non si può far nulla per impedirlo… Pensi che un annetto fa in un negozio di sport si è presentata una donna con un capo che diceva essere danneggiato, di taglia sbagliata ecc, e imponeva il cambio o di riavere i soldi. La commessa lo ha guardato, la marca l’avevano ma non il modello: in conclusione, aveva acquistato in Internet e riteneva di poter protestare lì perché la marca è la stessa.
No, non è la stessa cosa…”

Ma l’e-commerce non può essere sfruttato dai negozi ticinesi, in qualche modo?
“L’e-commerce funziona, sono molti i giovani che acquistano online, ed è uno dei grossi problemi che abbiamo, assolutamente. Non possiamo offrire, come negozianti, la varietà di scelta che possono offrire i grandi: essi di un modello, in rete, ha tutte le tipologie, i colori, le taglie, le variazioni. Noi non possiamo competere con quella tipologia di scelta, ci dovremmo indebitare per acquistare la merce, il fornitore vuole essere pagato!”

Dunque le soluzioni innovative, in un contesto come il nostro, non aiutano bensì ostacolano, vero?
“In questi ultimi anni, pensiamo a 3-4 anni, hanno chiuso in Ticino 300 aziende, con circa 2'000 posti di lavoro persi. Colpa dell’e-commerce? In parte, l’altro motivo sono gli acquisti all’estero, insomma in Italia. Vedo gente che posta sui social foto in cui va a far shopping a Arese, a Como e Varese e magari poi ci chiedono il posto di lavoro… Che cosa dobbiamo rispondere? Perché non vanno ad Arese a cercare il lavoro? Spesso ci dimentichiamo che per creare posti di lavoro, le ditte ticinesi devono incassare. La gente vuole i vantaggi di tutto. Tra l’altro, mi chiedo se hanno confrontato realmente i prezzi. Lasciamo perdere gli alimentari, però su altre merci, calcolando la benzina, il viaggio, la colonna, il tempo, non so quanto sia il guadagno. Anzi!”

Ora c’è la crisi di OVS, cosa ne pensa?
“È una delle attività che sta chiudendo, come tante altre, come le altre 300 di cui parlavo. Se non incassi, non vendi, non puoi inventarti i soldi”.

Concludo con la domanda, impossibile, che le pongo sempre: soluzioni?
“Riducendo il dazio da 300 franchi a 50 si può fermare l’emorragia degli acquisti in Italia, come ha proposto Roberta Pantani. Per chi spende poco non cambierà quasi niente, invece sarà diverso per chi ne approfitta, col dazio che si accumula per gli occupanti dell’auto. Ma i ticinesi vogliono che il dazio stesso rimanga alto, pensiamo che all’iniziativa di Roberta Pantani, la quale comunque deve passare da Berna con tutte le difficoltà del caso, si leggono commenti di gente che vuole avere il dazio alto in modo da poter far scalare l’IVA del 22% col fax free, con l’agevolazione che ci sarà da settembre”.

Paola Bernasconi
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