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19.10.2017 - 09:000
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:43

Denise Maranesi, "ho deciso di donare gli organi da ragazzina". Una parente salvata da due trapianti, "grazie a chi le ha permesso di vivere e darci ancora molto"

La consigliere comunale di Chiasso ricorda l'attesa per l'organo, "con il cercapersone sempre accesso e il telefono che doveva restare libero. A quella chiamata, risposi io...", la difficoltà di dire no a un donatore non ottimale, e "quei legami che la malattia rinsalda". Una bella storia di famiglia e guarigione

CHIASSO – La donazione di organi è un tema delicatissimo: basta toccarlo per trovarsi a dover fare i conti con storie di vita e di morte, di etica e di credenze, di intrecci psicologici di dolore e speranza, in quei sali scendi dove mai nulla è giusto o sbagliato. L’iniziativa che mira a far sì che chiunque non lasci espressamente un no diventi donatore automaticamente ha rilanciato l’argomento.

Sul tema Denise Maranesi, consigliere comunale di Chiasso, che ha vissuto due donazioni di organi diversi che hanno riguardato una sua parente, ci ha voluto raccontare la sua commovente testimonianza. “Ho una parente che ha beneficiato di un trapianto di un rene e di uno delle isole del pancreas”.

Sapeva di aver bisogno di questi organi per proseguire o migliorare la sua vita. Con che stato d’animo aspettava?
“Il trapianto è stato fondamentale per poter sopravvivere, senza probabilmente sarebbe deceduta. C’è stata una grande attesa che ha coinvolto tutta la famiglia. Tutti eravamo informati, c’erano delle procedure da mettere in moto. Non c’erano ancora i cellulari, bensì i cerca persone, e dopo una chiamata telefonica dell’ospedale di Zurigo esso avrebbe dovuto suonare per confermare che l’organo c’era. Lei ha vissuto con questo cercapersone sempre acceso, noi col telefono mai occupato, avevamo dovuto trovare un sistema per far sì che usare Internet non lo facesse risultare occupato”.

Avvertiva la paura che non arrivasse per tempo un organo?
“Quella c’è sempre. Le persone sono messe in lista in tempo utile, c’era timore ma il numero di persone che avevano bisogno di un rene era minore rispetto all’offerta se confrontato con ora, era dunque più facile accedervi”.

Non è particolare pensare di vivere con all’interno un organo di un’altra persona, che peraltro non c’è più?
“Sicuramente. Posso dire che dal canto mio però se dovessi morire e i miei organi fossero utilizzabili, per salvare una vita come è stata salvata la sua. Ho deciso da tantissimo tempo, ancor prima di compiere 18 anni, penso a 14. E quanto vissuto ha fortificato e reso più consapevole la mia scelta, non avrei nessun tipo di dubbio”.

Personalmente, lei come ha vissuto i momenti dell’attesa, e poi della buona notizia quando c’era l’organo?
“In modo particolare perché sono stata io a rispondere alla famosa telefonata. Ero sola in casa e ho dovuto gestire tutto, davvero un momento speciale, emozionante e che ha coinvolto tutto il palazzo. Non ero maggiorenne e quindi ho dovuto mettere in moto una macchina con l’aiuto di chi era disponibile. Quando poi la mia parente è tornata a casa dopo un mese all’ospedale a Zurigo c’è stata una grande festa che ha coinvolto tutti, è stato davvero forte. Vedi come la malattia rinsaldi dei legami, dandoti una mano”.

E la sua parente, quando è arrivata a casa, come ha reagito?
“C’era un po’ agitazione. Il fatto che ci fosse un organo disponibile e compatibile non voleva dire che venisse assegnato a lei, vanno effettuate ulteriori analisi e poi viene dato a chi ha maggiori possibilità di sopportarlo. Andavi a Zurigo senza sapere se toccava a te, magari qualcun altro aveva le cellule più compatibili. A noi col secondo trapianto è successo che il donatore non era un buon donatore ed è stato chiesto se lo volevamo lo stesso. Abbiamo rinunciato, poi per fortuna con un nuovo donatore è andato bene”.

Immagino sia una decisione difficile rinunciare…
“È difficilissimo, complicato, una scelta che ha coinvolto tutta la famiglia. Ti chiedi se fai bene a dir di no, se avrai un’altra occasione”.

La sua parente come è stata, sia fisicamente che psicologicamente, dopo i trapianti?
“È stata subito bene, tant’è che il primo è stato importantissimo ma il secondo ha migliorato ancor di più la qualità di vita. Viene offerto un supporto psicologico, con psichiatri e psicologici, sei tu a decidere se ne hai bisogno o meno. Lei è stata spronata da tutta la famiglia, eravamo davvero tutti con lei, c’è stato questo enorme supporto”.

Cosa prova la sua parente, e anche la sua famiglia, per il donatore e la famiglia?
Gratitudine, senz’altro. Oggi è cresciuto il bisogno e c’è maggior pubblicità sulla necessità di donare, una volta non era così scontato. Anche se il donatore rimane anonimo, e qui arlo per me, mi piacerebbe molto incontrare i suoi familiari. Ha reso la vita più semplice alla nostra famiglia, permettendo alla nostra parente di vivere a lungo e dare molto a tutti noi".

Parlando di attualità, come giudica l’iniziativa che dirà che senza un no esplicito chiunque è donatore?
“Secondo me è fondamentale, utilissima e mi trova totalmente d’accordo, la sottoscriverò senza ombra di dubbio. È un tema interessante da dibattere, legato all’etica e alla bioetica, al sopravvivere a ogni costo”.

Come si comporterebbe se si dovesse trovare a decidere per un familiare che non ha mai espresso il suo parere sull’argomento?
“In famiglia so esattamente cosa vuole chiunque, non è mai stato un tema tabu. È chiaro che non è una decisione facile, per quanto io l’approvi ognuno la affronta in modo diverso. C’è un aspetto psicologico, legato anche al fatto di avere il cadavere di una persona senza gli organi vitali, non tutti lo sopportano. Se si decede e nessuno decide e dice di no, il consenso è automatico, è qualcosa che si aggiunge al senso di solidarietà della Svizzera. Essa è nata e si è sempre basata su di esso, prima rispetto alle guerre e alle armi, poi verso i migranti, sappiamo benissimo che la bandiera della Croce Rossa è nata ispirandosi a quella svizzera. E questo può servire da ispirazione ad altre persone”.


Paola Bernasconi
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