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30.03.2018 - 09:300
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:43

Malattia, guarigione e cambiamento. "Quando mi diedero la diagnosi, volevo fuggire: entri in un vortice. Sapevo di non essere felice, in me esplose la rabbia. E cambiai, perdonando"

Alessandra Olgiati racconta la sua storia in un libro. È guarita da un tumore all'ovaio destro con metastasi, "si perde la cognizione di tutto". Ma anche il suo io è cambiato. "Era il modello che si era ammalato, quello condizionato dalle critiche di una madre che percepivo come dura!"

MANNO – Guarire da un tumore, attraversare il tunnel che porta alla diagnosi, alla sua accettazione, fino alle cure e alla guarigione, capendo che dentro di sé qualcosa non andava e cercando di cambiarlo, assieme al processo doloroso dei cicli di cure. Alessandra Olgiati, 55 anni, ce l’ha fatta, e racconta la sua esperienza nel libero “Quel giorno che ho danzato nel bosco - la malattia che mi ha guarita",  edizioni Fontana. Un cammino lungo che l’ha portata a dire che “è stata una bella esperienza”.

È un fiume in piena, quando la contattiamo. Ha voglia di raccontarsi, “senza vergogna, questo è il mio motto!”. Alessandra aveva un tumore all’ovaio destro, 3C, ovvero quasi all’ultimo stadio, con metastasi ovunque. La prima diagnosi, dopo dolori simili a quelli mestruali, è di appendicite. Non ci crede e non prende né gli antibiotici né gli antidolorifici, spinta dal ricordo del padre medico che "era un illuminato, diffidava egli stesso dalla malattia". 

Poi, convinta da un'amica, fa altre analisi e dopo una settimana di ricovero, arriva la terribile notizia. “La dottoressa mi aveva dato la diagnosi in modo molto schietto e freddo, senza mezzi termini. Chiaramente non ero preparata, dopo di che mi ha lasciata sola ed è arrivata la cena in un vassoio, portata da un’infermiera sorridente. Io ero già morta lì, ricordo che la compagna di camera aveva messo come sempre una trasmissione ironica. Come presa da un raptus, mi sono alzata, mi sono vestita, ho strappato le due farfalle che avevo nei polsi e sono scappata. Mi hanno fermata in corsia. Un’infermiera mi aveva chiesto se facevo dieta, ho avuto la consapevolezza di dover fuggire. È stato il momento più tragico e più significativo”.

Ha seguito le cure classiche? “Non ho avuto tempo per niente: la diagnosi è arrivata venerdì, lunedì mattina ero già sotto i ferri. Mi era stato detto di salutare tutti e di mettere apposto le mie cose. In quei momenti la paura prende il sopravvento e non si sa più nemmeno come ci si chiama. Si perde la cognizione di tutto”.

“A quel punto, ero in un protocollo. Da esso non si può uscire, si è in un vertice, seguita. Devi, devi, devi, insomma. Tutto attorno a te ruota su quello, si ferma il tempo”, racconta.
Ma la sua guarigione non è stata solo fisica, anche se ha rispettato, e lo precisa, dalla A alla Z il protocollo. “La guarigione è il più fantastico dei regali che possiamo avere. Chi passa quel momento lo benedice, mi tireranno i pomodori addosso, lo so… La medicina, qualsiasi tipo, da quella tradizionale a quella omeopatica curano, la guarigione è soltanto nostra”, precisa. Per lei, la malattia voleva dire che qualcosa non andava nella sua vita. “L’ho paragonata a una carissima amica che mi piace chiamare anima che un bel giorno ha bussato alla mia porta e ha detto che c’era qualcosa che non funzionava. Ho sempre pensato, sino a lì, che presto sarebbe iniziata la mia vera vita. Il tempo passava ed ero in un ingranaggio da cui non riuscivo a uscire. Ero in un vortice che pensavo fosse la mia vita”.
“È la percezione a creare la realtà”, spiega. “La persona che ero era un insieme di condizionamenti dati da retaggi culturali, sensi di colpa, religione. Da quando siamo piccoli siamo come spugne, percepiamo le cose dai genitori, dalla scuola, dalla società. Ho capito che quel modello si era ammalato. Sapevo di non essere felice”.  Parla della madre, che ama molto ma percepiva come molto credente, severa, dura. "Mi sono sempre sentita inadeguata anche rispetto ai miei fratelli, attirando a me situazioni estreme con le frequenze negative: lavori che cambiavo sempre, uomini che facevano di me quel che volevano”. Persone che Alessandra ha tenuto a fianco a sé per continuare a rispettare ciò che tutti si attendevano da lei. “Questo personaggio era malato”, ci dice. “Quando ho ricevuto la diagnosi sono caduta nei meandri più oscuri, ma subito ho avuto rabbia. Io, che ho sempre fatto per gli altri, mi sono adattata per non essere criticata, spendendo molta energia, e dovevo morire? Oltre i danni le beffe!”.

Da lì comincia la sua metamorfosi. “Ho iniziato a percepire quello che sentivo dentro di me, che vivevo giorno dopo giorno. Grazie alla malattia ho cominciato a dire no alle cose che non volevo. Per la prima volta dicevo di no, anche nelle cose banali: un menu per cena che non mi andava, per esempio. . Stava cambiando qualcosa dentro di me, ma il mondo esterno riflette quello che sei. La guarigione è qualcosa che ho stabilito a metà protocollo, prima della seconda operazione che non volevo fare: mi hanno tagliata di nuovo tutta! In quel periodo vedevo dei video di Roy Martina, un medico che tiene seminari in tutto il mondo. Lui parlava del cambiamento, di immaginare che, mentre si faceva la chemioterapia, quel che entrava nel corpo è positivo e puliva quel che c’era di male. Coi suoi consigli, ho meditato, ho fatto esercizi mirati, per modificare il mio modo di pensare, scegliere e agire. Tanto che quando mi hanno detto che su sette biopsie cinque erano ancora piene di cellule tumorali ho risposto che stavo guarendo. Mi presero per matta, io invece avevo attraversato il fiume, realizzando che tutto dipendeva da me”.

Alessandra Olgiati ora è clinicamente guarita, “non ho più fatto controlli dopo il protocollo, mi sento bene!”, e si è riconciliata con la madre. “Ho fatto un grosso lavoro di perdono. Adesso siamo felici insieme, perché sono autentica! Percepisce che io sono al mio posto e lo è anche lei. Quando una lice si accende illumina tutto quel che c’è nella stanza, quando una persona della famiglia sta bene stanno bene tutti”.

Una bella testimonianza di vita e di cambiamento. “Ho guarito anche la paura del morire e del soffrire. È stata una bellissima esperienza”, riesce a dire. E l’ha raccontata in un libro.
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