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Sanità
28.01.2020 - 09:000
Aggiornamento: 11:59

"Panico, ansia, disturbi simili? Uscite allo scoperto e fatevi aiutare! Io, dimesso da una clinica perchè volevo tenere con me il cellulare"

La forte e incisiva testimonianza arriva da Nicola Schulz Bizzozzero-Crivelli, che racconta amareggiato cosa gli è successo ma lancia anche un messaggio. "L'ansia mi teneva prigioniero, un giorno mi dissi che non potevo essere il suo schiavo"

LUGANO – Ricoverarsi in una clinica privata per curare degli attacchi di panico (poco chiari) e venir dimesso perché non si accetta di consegnare i dispositivi elettronici. È la vicenda che ha stupito e amareggiato Nicola Schulz Bizzozzero-Crivelli, giovane nobile luganese, che ha voluto anche lanciare un forte messaggio a chi si trova in situazioni di vissuto analoghe.

I problemi di salute per cui aveva deciso di ricoversarsi nella struttura non sono legati all’uso di pc e cellulare, non vi è nessuna dipendenza, come si sono chiesti in diversi, ci spiega il diretto interessato, che ora continuerà a curarsi secondo quanto prescritto dal suo medico.

Ecco il suo post social: 

“Ieri pomeriggio, sono entrato in una famosa clinica privata luganese per curare degli attacchi “insoliti ed inspiegabili”.

Al mio arrivo dopo aver deciso quale inizio di terapia assumere, mi viene chiesto di consegnare il mio cellulare e il mio computer che mi serve per studiare, per i primi tre giorni e passati quest’ultimi, avrei dovuto consegnarli solamente durante la notte .

Dopo varie discussioni, passo la prima notte con i miei averi personali.

Oggi, il capo clinica, mi spiega che è una prassi o meglio una “regola” ma dopo un’accesa discussione dicendogli che mi avrebbe fatto stare male facendo così, anziché preoccuparsi di quale terapia adottare ha avuto nuovamente il coraggio di volermi ritirare le mie apparecchiature elettroniche e al mio rifiuto, chiedendo di essere aiutato per il mio problema e di non perdere tempo con sciocchezze, vengo dimesso all’istante, unicamente per essermi rifiutato di consegnare il cellulare.

A voi questo sembra normale?

Una persona necessita di aiuto e viene invitato in maniera poco elegante che certamente non fa parte della mia educazione a lasciare una struttura dove per avere un posto ho dovuto aspettare settimane!”.

Schulz Bizzozero aggiunge: "Sono dell’idea che anche se fosse stato un intervento terapeutico , mi avrebbe messo in una condizione di disagio, per me è normale avere i miei averi con me, soprattutto a fronte di un esame universitario da sostenere il 3 febbraio". Da ammirare anche in un momento difficile la volontà di continuare gli studi!

Ma non vuole la polemica e basta. Desidera denunciare quanto gli è successo, però vuole anche rivolgersi a chi soffre di disturbi simili ai suoi. “Dall’età di quindici anni contavo una decina di volte al giorno se la porta di casa fosse chiusa; mi lavavo le mani e riordinavo gli armadi a sfinimento; dovevo ripetere a memoria determinate parole e toccare un determinato numero di volte un oggetto; temevo qualsiasi malattia o possibile contagio. Nella mia mente avevo delle immagini intrusive, avevo paura di fare del male alle persone a me care e per sedare l’ansia dovevo mettere in pratica dei rituali considerati “magici” che riconoscevo essere folli ma l’ansia mi dominava.  Rituali che diventavano sempre più fastidiosi e che occupavano gran parte del mio tempo, limitando la mia quotidianità e portandomi ad impazzire e allo sfinimento”, racconta, con la lucidità di chi ha saputo affrontare quel che gli stava succedendo.

“Nessuno si accorse di nulla, svolgevo una vita normale e sapevo nascondere bene il mio “disturbo” mostrandomi sempre in pubblico in modo impeccabile, ma dentro di me c’erano la tempesta, l’angoscia.  I miei compagni giornalieri erano stanchezza cronica, ansia generalizzata, attacchi di panico e depressione. Un tunnel buio, pauroso dove, l’ansia mi teneva prigioniero e non mi permetteva di arrivare all’uscita fino a che un giorno mi dissi che non potevo essere il suo schiavo. Ciò che vi ho descritto è il così detto Disturbo Ossessivo Compulsivo (DOC). Solamente cinque anni fa decisi di farmi aiutare, iniziando un percorso di cura. Ora posso dire di stare bene e di essere più forte di prima!”, aggiunge.

“Voglio lanciare un messaggio a quei ragazzi e a quelle ragazze che per “vergogna”, “cultura” e “stereotipi” si isolano facendosi del male di uscire allo scoperto e di farsi aiutare immediatamente, senza lasciare passare quasi dieci anni dall’esordio del disturbo come ho fatto io.  La vita è bella e va presa a morsi ogni giorno!”, conclude.

Un messaggio che sottoscriviamo in pieno.

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