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18.10.2017 - 09:300
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:43

"Ero una bambina, ma bambina proprio. Sono stata anoressica, mi sono spogliata, provocata, odiata, sentita colpevole, perduta, sporca. E poi autolesionismo, depressione..."

Un'altra giovane parla dei suoi troppi #quellavoltache. "È cominciato quando non potevo decodificare e capire, hanno gettato le basi per un rapporto contradditorio col mio corpo, con la nudità, col sesso. Non ho denunciato per proteggere tutti, per non essere massacrata, per la mia famiglia"

Se dovessi raccontare tutti i miei #quellavoltache avrei da scrivere per giorni. E giorni. E giorni. Ne ho per tutti i gusti e tutte le sfumature. Conosco bene la materia.

Dal commento, alla pacca sul sedere, al collega che ti salta addosso all’improvviso mentre stai parcheggiando, alla violenza vera e propria.

I miei #quellavoltache sono cominciati che ero solo una bambina, ma bambina proprio, cinque, sei anni e sono proseguiti per tutto il corso della mia vita. Quelle prime, terribili molestie, quelle arrivate quando ancora non capivo e non decodificavo, hanno gettato le basi per un rapporto contraddittorio col mio corpo, con la nudità, col sesso.

Sono stata anoressica, mi sono spogliata su più di un palcoscenico, ho provocato, mi sono odiata, ho confuso il bisogno di essere amata con l’amore. Ho cercato un padre nei miei uomini, un padre potente e aggressivo, ma presente e accudente. Il contrario del mio, che c’era stato pochissimo ed era morto troppo presto. Mi sono sentita colpevole, sporca, perduta. Non meritevole di essere amata. Bassa autostima. Pulsioni ossessivo compulsive. Autolesionismo. Depressione.

Quante donne potrebbero raccontarvi questa storia. Tante. Molte di più di quelle che pensate. Per ognuna di loro ci vuole rispetto. Perché per ognuna di loro ci sono stati momenti di profonda ingiustizia e uomini che si sono approfittati di una fragilità. Hanno visto la preda, identificato i punti deboli, colpito dove era più facile colpire.

Ecco perché non mi azzardo a criticare o dire “io al posto suo”. Io non c’ero, al posto suo. Non so com’è andata. Non so a che punto della sua vita è accaduto quello che è accaduto. Ma conosco bene il contesto. Le regole non dette di un mondo che plasma il tuo modo di pensare, di reagire, di valutare te stessa e la tua importanza.

Perché non ho denunciato. Perché avevo paura. Perché pensavo di non valere abbastanza. Perché era la mia parola contro la loro. E loro avevano il potere dalla loro parte. E io avevo più foto nuda su Google che vestita. Di che mi lamentavo? Sono stata zitta. Sono stata zitta anche dopo, quando avevo un Uomo accanto che mi avrebbe sostenuta e aiutata. Non volevo agitare polveroni. Non volevo essere massacrata dall’avvocato della difesa. Non volevo mettere in mezzo la mia famiglia. Volevo proteggere tutti.

Pensateci, quando date i vostri giudizi. Pensateci bene.
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