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31.08.2015 - 11:000
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:43

Il docente, «al liceo entrano degli adolescenti ed escono dei giovani. I cambiamenti spaventano i ragazzi»

Un professore di liceo, nel giorno della riapertura delle scuole, ci parla della sua professione e dei giovani con cui è confrontato. «Quello del professore è un mestiere comodo? Perché chi lo dice, allora, non lo ha scelto?»

LUGANO - Ricominciano le scuole. Bambini, ragazzi e adolescenti riprendono zaini, quaderni e libri, pronti ad affrontare un nuovo anno scolastico. Con loro, i docenti, incaricati di guidarli attraverso il percorso formativo. Com'è il livello del liceo oggi, porta d'accesso per la formazione universitaria? Come vivono i ragazzi un periodo delicato come il passaggio dall'adolescenza all'età adulta? Ne abbiamo parlato con un docente liceale, con una lunga esperienza anche alle scuole medie: in tutto, ha trascorso 25 anni dietro le cattedre di diverse sedi ticinesi, e ci ha parlato anche della sua professione.
Con che stato d'animo si appresta a cominciare il nuovo anno? La motivazione c'è ancora, anche dopo un quarto di secolo?«Inizio sempre con piacere e curiosità. È vero, per un docente col passare degli anni gli stimoli possono venire meno, il rischio c'è. Nel mio caso non è successo visto che ho cambiato sovente sede e ordine di scuola, se si rimane sempre nello stesso posto e con la stessa materia si può scivolare nella routine. Se non ti rinnovi, i ragazzi lo avvertono, perché la nostra è una professione in cui non si può bluffare».In uno studio qualche mese fa si evidenziava lo stress subito dai docenti, è un problema che riscontra? «Secondo me, si deve distinguere fra medie e liceo, e lo dico a ragion veduta avendo esperienza in entrambe le scuole. Insegnare al liceo comporta molto meno stress emotivo, dato che il focus è sulla materia, puoi spendere tanto tempo su di essa e approfondire certi argomenti, con una necessaria preparazione ottimale da parte tua. Alle medie, invece, il livello della materia trattata è più basso, concettualmente non è difficile, però si spende il tempo per capire come gestire al meglio la classe. Lì c'è l'obbligo di frequenza, mentre il liceo è una scelta, e se qualcuno non riesce a ottenere i risultati, potrebbe trovarsi nel posto sbagliato».Si è sentito parlare anche di maltrattamenti che addirittura voi professori subireste dagli allievi. È vero?«Personalmente non mi è mai successo, e neppure di sentire casi concreti. Gli allievi prendono in giro i docenti, e fa parte del gioco, il problema è quando si viene trattati male durante le lezioni. Mi è capitato che mi venissero riferiti commenti e lamentele magari per una verifica particolarmente difficile ma sempre nei limiti della civiltà».Qualcuno afferma che quello del docente sia un lavoro "comodo", con molte vacanze. Cosa ribatte?«Domando a chi lo afferma perché non ha scelto a sua volta di fare l'insegante! Come ogni professione, ha i suoi lati positivi e quelli negativi. C'è tanto da fare, né più né meno che in altri mestieri, l'atout è che sta tutto in te. Se decidi di prepararti poco, di non fare nulla, hai tanto tempo libero a disposizione, ma se ti impegni a restare al passo coi tempi, dato che i programmi sono cambiati negli anni, non ne rimane molto. Ci sono poi periodi in cui si è particolarmente sollecitati, e diversamente da altri non è un lavoro da cui si stacca una volta a casa, perché ci sono le lezioni da pianificare e il materiale da correggere. Vivi con l'interruttore acceso 24 ore su 24».La scuola e i ragazzi sono cambiati da quando ha iniziato lei a insegnare?«Sì, perché si sono vissute diverse riforme scolastiche. I ragazzi sono diversi soprattutto perché lo è la società, con la tecnologia, i cellulari, Internet. Non si può dire se è stato un cambiamento in meglio o in peggio, c'è il positivo e il negativo. Apprendono in modo diverso, penso all'informatica per esempio: ai miei tempi si era pieni di curiosità per imparare a usare gli apparecchi, una curiosità che oggi non esiste più, con gli smartphone e le applicazioni per ogni cosa. Come aspetto positivo, si possono scambiare informazioni molto più in fretta».E il suo rapporto con loro? Come è vissuto questo periodo di vita dagli alunni?«Non credo sia mutato. Al liceo, si conosce un allievo in prima che è adolescente e esce dalla quarta che è ormai un giovane uomo. Sono gli anni in cui devono capire che cosa fare della loro vita, in cui alcuni sogni si infrangono, in cui a volte si capisce che ciò che si sta facendo è la cosa sbagliata. I problemi sono quelli legati a chi sta crescendo, e vede il suo corpo e la sua mente cambiare da un anno all'altro. Sono mutamenti che spaventano, accade tutto in fretta e crea insicurezza».Relativamente alle medie, si sente spesso parlare di problemi di bullismo, iperattività, ansia, o legati a famiglie difficili. Esistono anche al liceo, oppure sono superati? E chi li ha vissuti se li trascina nel tempo?«Il bullismo esiste, non si deve nascondere, ma non è evidente come alle scuole medie. Al liceo arriva un certo tipo di allievo, e con esso alcuni problemi si ritrovano in maniera minore. Il problema di questa scuola è che la quantità di studio aumenta davvero molto, e chi faticava già si trova in difficoltà. Serve il supporto di una famiglia che spinga, magari anche offrendo lezioni private. A volte, vedo casi di famiglie problematiche in cui i ragazzi, però, si impegnano per un senso di rivalsa verso la situazione che vivono. Arriva gente motivata, qualche volta anche troppo: è successo poche volte, ma mi è capitato di ricordare ai ragazzi che nella vita non esiste solo lo studio»Secondo lei, ciò che viene insegnato al liceo è realmente utile nel corso della vita del ragazzo?«Dobbiamo fare un'astrazione: che compiti ha il liceo? Dare competenze, aumentare la cultura generale di chi lo frequenta, e soprattutto preparare l'allievo all'università. Non ha fini pratici, perché non insegna una professione, ma deve essere una scuola a 360°, che faccia ragionare, dia più spirito critico, prepari per proseguire gli studi. Ritengo che ci riesca in parte: i problemi, a mio avviso, riguardano le scienze sperimentali, penalizzate dall'ultima riforma».
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