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15.01.2016 - 12:050
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:43

BancaStato-BSI, la politica dice sì, Bernasconi dice no

Per Vitta sarebbe la «soluzione ottimale», Dadò crede che permetterebbe di evitare licenziamenti, Lepori applaude l'eventuale ritorno in mani ticinesi della BSI. La pensa diversamente l'ex procuratore pubblico

BELLINZONA - La lettera d'intenti inviata ieri da BancaStata per mostrare il suo interesse all'acquisto della BSI non ha lasciato indifferente il mondo della politica. «Il nostro sarebbe un investimento finanziario e non strategico per il gruppo. Ci aspettiamo un ritorno importante da questa operazione. BSI rimarrebbe indipendente e autonoma e seguirebbe la propria strategia di sviluppo», ha spiegato a La Regione Bernardino Bulla , presidente della direzione generale di BancaStato. Christian Vitta conferma come il Consiglio di Stato sia stato avvisato dei passi intrapresi, e come ora sia solo uno spettatore interessato all'evolversi della vicenda. «È importante che per la BSI si trovi una soluzione con degli azionisti interessati a mantenere posti di lavoro, competenze e centro decisionali sul territorio cantonale. I futuri proprietari devono sapere che il Ticino guarda con occhio particolare a questi aspetti. Con BancaStato si arriverebbe a una soluzione ottimale. Si tratta infatti di un operatore locale, che conosciamo bene e che avrebbe interesse a mantenere il legame della BSI col territorio», ha aggiunto. Gabriele Pinoja, presidente della commissione parlamentare che vigila sul mandato sull’istituto parapubblico, lamenta di non essere stato avvisato. Ritiene comunque che l'acquisizione di BSI sarebbe un grosso investimento, e che le domande a cui rispondere siano parecchie. «Sarebbe la soluzione migliore affinché la sede, i centri decisionali e gli impieghi della BSI, e parliamo di un migliaio di posti di lavoro, rimangano in Ticino, con tutto ciò che ne consegue anche a livello fiscale», ha commentato il coordinatore della Lega dei Ticinesi Attilio Bignasca, ricordando come suo fratello Giuliano ai tempi avesse già ventilato questa ipotesi. «La BSI è un istituto nato e cresciuto in Ticino e con una storia. Dal canto suo, BancaStato è una banca sana. È quindi giusto che si approfondisca questa possibilità. Tanto più se ciò permetterebbe di mantenere posti di lavoro in Ticino», concorda Rocco Cattaneo, presidente del PLR. Sul fronte PPD, contento il capogruppo in Gran Consiglio Fiorenzo Dadò, poiché l'operazione permetterebbe di far tornare in Ticino il centro decisionale della BSI e probabilmente di salvare dei posti di lavoro. «L’operazione in sé presenta aspetti senz’altro condivisibili, a cominciare dal ritorno in mani ticinesi della BSI. Questo significherebbe fra l’altro avere nella nostra piazza finanziaria i centri decisionali di un istituto di credito importante, come la Banca della Svizzera italiana», gli fa eco il presidente ad interim del PS Carlo Lepori. «Il nostro auspicio è che si possa giungere a una vendita che permetta di mantenere l’indipendenza, l’autonomia e soprattutto le competenze di BSI», è l'opinione del direttore dell’Associazione bancaria ticinese Franco Citterio, che auspica una soluzione in tempi brevi. Sin qui, i favorevoli. C'è anche chi, come Paolo Bernasconi, è contrario e vede nel possibile passaggio della BSI nelle mani di BancaStato un rischio altissimo di licenziamenti. Fra di essi vi è Paolo Bernasconi, secondo cui «se ad acquistare saranno banche svizzere, tanto più se già presenti in Ticino, aumenta il rischio di licenziamenti, per evitare che lo stesso gruppo fornisca le medesime prestazioni sulla stessa piazza». E chi perderebbe il posto sarebbe difficilmente "riciclabile" «perché il mercato ticinese è già pesantemente colpito dalla perdita di numerosi posti di lavoro nelle fiduciarie. E sappiamo che UBS non esita a sostituire collaboratori di lunga data con inesperti giovanotti italiani».
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