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31.05.2016 - 17:000
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:43

«I docenti di religione si formino alla Facoltà di Teologia. E li paghi lo Stato»

Don Gianfranco Feliciani spiega, dopo l'iniziativa di Quadranti, come deve essere per lui l'insegnamento delle religioni a scuola. Mentre sulla riforma della legge delle adozioni dice che...

CHIASSO - Matteo Quadranti sostiene che la storia delle religioni va insegnata da un docente di storia o di civica, e che le Diocesi devono pagare i religiosi che impartiscono le classiche lezioni di religione tout court. Ne abbiamo parlato con Don Giancarlo Feliciani, approfittando del dialogo per chiedergli anche un'opinione sulla riforma delle leggi per le adozioni.Come valuta l'iniziativa di Quadranti?«Io credo che ci siamo resi conto che il fatto religioso riguarda tutti, credenti o no, svizzeri o stranieri. Fa parte della nostra storia, della nostra cultura e della nostra arte e non vi si può prescindere, indipendentemente dal credo. Per taluni non è ancora chiaro e si continua a parlare di religione come di un fatto privato. La cultura, l'arte, la storia non sono fatti privati, non si può conoscere la storia della Svizzera senza il cristianesimo. Il problema è chi può insegnare la religione a scuola...»Appunto, chi può farlo? Cantone e Chiese devono mettersi d'accordo...«Bisogna renderla obbligatoria come lo sono matematica e geografia, soprattutto per allievi stranieri che devono conoscere la nostra cultura. Un musulmano a scuola parla italiano e non arabo, giusto? A scuola si insegnano le religioni dal profilo culturale. Devono intendersi autorità cantonale scolastica e Chiese: le Chiese rappresentano il popolo, e la scuola appartiene al popolo, non allo Stato. Il popolo deve essere rappresentato. Le faccio un esempio: siccome la religione tocca corda importanti e delicate del sentimento e della coscienza un po' come la sessualità, che non si può insegnare senza il coinvolgimento massimo delle famiglie. Ora, si può insegnare la religione lasciando fuori le Chiese? No, è sbagliato. C'è l'aspetto culturale, ma anche quello di fede. Possiamo parlare delle Alpi svizzere senza citare Messner? C'è una sorta di incapacità a trovare una soluzione comune, bisogna superarla pensando che la scuola non è né della Diocesi né del Governo ma del popolo».Ma chi pagherebbe, a questo punto? Lo Stato o la Diocesi?«La scuola pubblica è pagata da tutta la gente, il Governo paga con quello che raccoglie dalle tasse dei cittadini. Quelli che insegnano la religione lo devono fare dal profilo culturale, il catechismo si fa in Chiesa. Quando si insegna civica, il docente non deve dire per chi votare, solo spiegare la problematica. I docenti di religione devono essere pagati coi soldi della scuola pubblica, fanno parte del corpo docenti. Ci si deve orientare verso una laicità aperta, dove essa non è un azzeramento di tutte le realtà spirituali ma lo spazio etico dove esse si incontrano, oggi è più importante di ieri perché la società è multiculturale». Allora chiamiamo un imam a spiegare l'Islam? Oppure vanno bene anche dei laici?«Una suora, un imam, un prete... Deve essere una persona qualificata a presentare la religione in modo oggettivo. Di un docente non si guarda, o non si dovrebbe guardare, se è del PPD, del PLR o della Lega ma che abbia la competenza. Il Cantone vuole fare da solo, lancio una proposta: chi forma in teologia i docenti, siano laici oppure religiosi? Abbiamo una facoltà di Teologia, li mandi lì, in modo che sia un rapporto sincero, liberale e democratico fra realtà politica e religiosa. E non bisogna aver paura che i religiosi non siano oggettivi, perché i preti devono essere fanatici? Ce ne sono, come in ogni mondo. Ci sono ancora pregiudizi, dobbiamo aprirci dentro la laicità aperta senza temere nessuno».Cosa pensa della modifica della legge sulle adozioni, per cui sarà più facile per un omosessuale o per un concubino adottare il figlio del compagno?«Per me, si deve ragionare con molto buon senso. Si può fare tutto, ma bisogna distinguere quello che è il corso "normale" e quella che è un'eccezione. Un bambino ha diritto a un padre e una madre, ma se non è possibile ci sono altre vie, da valutare caso per caso. Ma le altre vie non devono essere equiparate alle altre. E questo distinguere non è discriminare: avere un papà e una mamma, per esempio, non è come avere due papà. Valutiamo caso per caso senza procedere come per una coppia eterosessuale».
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