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06.03.2017 - 11:080
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:43

Pamini e la tassa dei robot. "Il progresso tecnologico è punito con regolamentazione e tassazione"

Per il deputato di Area Liberale, essi "sostituiranno le persone in molti lavori". E a chi paragona l'idea con quella che si sarebbe dovuta tassare la venga del contadino, "bisogna essere flessibili al futuro"

di Paolo Pamini*Ha senso pensare di introdurre una tassazione dei robot, se è vero che presto sostituiranno molti posti di lavoro? La proposta sta iniziando a circolare su più fronti, all’estero come in Svizzera, ed è recentemente finita addirittura su riviste svizzere specialistiche di diritto fiscale. L’idea di fondo è che i nuovi robot saranno delle vere e proprie persone capaci di sostituirsi in attività oggi svolte da umani. Si pensi per esempio a robot infermieri che negli ospedali si spostano da paziente a paziente per le misurazioni di routine (temperatura, pressione,…) o per somministrare loro i farmaci agli orari prescritti. Si pensi pure a robot minatori, oppure ancora a robot barman capaci di preparare qualsiasi cocktail. Detto così sembrerebbe naturale che anche i robot dovrebbero pagare le imposte. Da sempre qualsiasi scusa è buona per lo Stato per tassare. Si tratta di una costante che parte dai Sumeri e si spinge fino ai giorni nostri, tanto che non è un caso se di fatto tutte le rivoluzioni hanno avuto un motivo e una miccia prevalentemente fiscale. Tuttavia, est modus in rebus ed in particolare bisogna chiedersi quanto dannosa possa essere una nuova imposta. Nel caso dei robot, si dimentica troppo facilmente che, al contrario delle persone umane, questi hanno un proprietario legale. In altre parole, per quanto autonomi ed evoluti si tratta pur sempre di macchine, con un costo di investimento, dei costi ricorrenti di manutenzione, e naturalmente dei benefici dati dal loro uso. Si capisce pertanto che la tassazione dei robot già esiste e rientra nella tassazione del capitale e delle imprese. D’altra parte, se è vero che il problema di cui si discute è la sostituzione del lavoro umano con i robot, allora già millenni orsono si sarebbe dovuta sottoporre alla “tassa sui robot” una semplice zappa, che permetteva ai contadini di aumentare la propria produttività evitando di dover lavorare la terra a mani nude.  Una linea argomentativa leggermente differente a sostegno della tassazione dei robot riguarda, comprensibilmente, la rapidità degli stravolgimenti indotti sul mercato del lavoro. Per quanto la meccanizzazione e robotizzazione siano visti come fonti di benessere a lungo termine, se i cambiamenti sono troppo veloci ci sono lavoratori non capaci di adattarsi. Il cambiamento è positivo ma andrebbe frenato. Il ragionamento ha un certo appeal, ma è fallace su più piani. Prima di tutto riguarda solo le vecchie generazioni, mentre i giovani d’oggi già dovrebbero istruirsi in modo da essere flessibili di fronte ai cambiamenti futuri. Se non lo fanno è un loro problema così come lo era quello di un fannullone che 40 anni fa non aveva scelto una formazione. Secondariamente non si capisce chi e come dovrebbe determinare il rallentamento ottimale della robotizzazione. La sensazione è che si spalancherebbero le porte a favoritismi politici di chi oggi fa affari e verrebbe minacciato dai nuovi concorrenti. In ogni caso, non serve molta fantasia per visualizzare un mondo in cui il progresso tecnologico è punito con regolamentazione e tassazione. Nei Paesi comunisti, lo Stato decideva per tutti il grado di innovazione e di meccanizzazione, di fatto frenando per decenni lo sviluppo tecnologico rispetto alle economie libere. Il balzo della Cina degli ultimi 30 anni altro non è che il recupero del tempo perduto, peraltro inducendo cambiamenti ancor più rapidi di quelli avvenuti naturalmente. Lasciamo pertanto ai robot la fortuna di fare il proprio lavoro senza dover parlare con il tassatore. *deputato di Area Liberale
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