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23.10.2017 - 19:320
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:43

"PS spaccato? No ma il gruppo parlamentare è stato scavalcato". Ghisletta lancia il referendum interno... prima del referendum

"Il voto del Comitato Cantonale è stato prematuro, come lo è parlare di raccolta firme", sostiene il socialista, il quale applaude Bertoli: "la sua strategia di legare gli sgravi a un pacchetto sociale è stata intelligente. E i nidi sono una questione che ci trasciniamo da un decennio"

BELLINZONA – Un referendum interno perché il gruppo parlamentare si è sentito scavalcato, e decidere adesso le sorti del pacchetto fiscale e sociale è troppo presto. Raoul Ghisletta ha lanciato una raccolta firme estesa a tutti gli iscritti al Partito Socialista: secondo statuto, se ne verranno raccolte un quinto fra tutti i tesserati. Ed è d’accordo con Bertoli: i soldi vano indirizzati ai nidi più che all’assegno parlamentare.

“Lo scopo del referendum è arrivare a una consultazione, aspettando che ci sia la decisione del Parlamento”.

Ritiene dunque prematuro il voto del Comitato Cantonale?
“Sì, assolutamente. Non abbiamo neppure finito le discussioni e già si parla di referendum, non ha senso. Sia io che Bertoli che Cristina Zanini l’abbiamo detto anche al Comitato Cantonale, con questo gesto riusciamo a spingere in là la discussione. E essa si allargherebbe a un migliaio di persone, non solo a 55. Non so se arriveremo al numero necessario di firme ma farà almeno slittare tutto di 30 giorni, permettendo di portare avanti le discussioni e arrivare a bocce ferme, con il messaggio almeno votato dalle Commissioni se non anche dal Parlamento”.

Come giudica il pacchetto personalmente?
“La strategia di Manuele Bertoli è stata molto intelligente, è riuscito a convincere il Governo a legare lo stesso importo di sgravi fiscali cantonali a investimenti sul fronte sociale. È una tattica interessante rispetto ad altre volte in cui si votava solo per sgravi, senza nient’altro”.

Gli sgravi sono accettabili in una sorta di do ut des?
“È un accordo dove hai accontentato il mondo dell’economia che riceve degli sgravi, ma che poi partecipa direttamente al finanziamento di opere sociali, in questo caso per la conciliazione fra famiglia e lavoro”.

Lo stesso vale per la destra, che non avrebbe forse mai votato per il sociale?
“Infatti, già alla fine del 2016 avevano detto che la Riforma delle Imprese sarebbe stata assorbita da un pacchetto sociale. Se guardiamo il risultato del voto in Ticino, col 52% dei favorevoli, vuol dire che hanno fatto passare questo messaggio”.

Il PS è spaccato, o almeno così le è parso dal Comitato?
“Le valutazioni sono molto diverse. C’è chi chiede di disunire le due cose, che congiunte non vanno bene. La strategia di Bertoli, quella di collegare i due fattori per ottenere quanto meno la parte sociale, è completamente opposta. Sono, come dicevo, valutazioni opposte, chi ritiene la sua idea interessante e chi la boccia”.

Come ha preso Bertoli il fatto di essere stato sconfessato? Non sarà stato facile per lui giungere a questo pacchetto…
“No, infatti. Quello che ha ottenuto, i 21 milioni, sono stati frutto di una lunga negoziazione. Si è dovuto impegnare molto, dicendo che non avrebbe firmato il pacchetto finché non avrebbe avuto sul piano sociale altrettanti milioni di quelli ricavati negli sgravi, ha fatto il massimo”.
Pensa che sia stato brutto trovarsi di fatto contro il presidente e parte del partito?
“Questo fa parte della dialettica, dei ruoli diversi. Metti in conto anche queste cose, poi si tratta di fare in modo che le bocce siano ferme. Secondo me il voto del 18 è intempestivo, non cambiava niente aspettare tre settimane”.

Ora vedremo una frattura fra i sostenitori del Ministro e quelli dell’altra parte?
“Frattura non lo so, si parla di posizioni diverse, come è legittimo che ci siano in un partito. Bisognerebbe permettere, come è stato permesso a Bertoli di arrivare a un pacchetto, anche ai parlamentari di fare il loro lavoro fino in fondo, sino al termine dei lavori commissionali. Così è un pasticcio, se a metà strada già si decide”.

Il gruppo parlamentare cosa ne pensa?
“Ne abbiamo parlato con la direzione, il nostro mandato era di cercare di portare dei miglioramenti nel pacchetto. Poi si sono contraddetti, ci siamo sentiti scavalcati dal Comitato Cantonale e dalla proposta della direzione di votare”.

E se anche dopo il referendum interno prevalesse il no?
“Sarebbe la democrazia, accetteremmo il risultato. Si tratterebbe della parola finale, quella definitiva, dunque non ci sarebbero più margini. Evidentemente in quel momento accetterò cosa diranno. Il voto del Comitato cantonale è preso di misura, e si parla di 50 persone su tutti gli iscritti. Se non c’è una chiamata alle urne di tutti, vale la scelta dei 50. Faccio il referendum per cercare di cambiare il risultato, poi se ci si riesce non lo so”.

Ci saranno ripercussioni nei rapporti Bertoli-PS?
“Non lo so, non penso che dovrebbe averne. È un tema importante, ma limitato. Oltretutto il referendum lo promuovo io, non Manuele”.

E fra lei e il partito?
“Siamo in linea con lo statuto. Abbiamo la fortuna di poter fare un referendum, il PS ne fa tanti quindi è abbastanza logico farne uno anche interno. Gli iscritti devono poter partecipare alle decisioni importanti, lo ritengo un valore aggiunto. Posso dire ancora una cosa?”

Prego.
“Al di là delle questioni interne, ci sono anche gli aspetti sociali. A parte l’aggancio col fisco, c’è anche da vedere dove vanno investiti quei 21 milioni. Il problema dei nidi ce lo stiamo trascinando da 10-15 anni e sono strutture sempre più richieste dalle famiglie che devono essere finanziate in una misura ragionevole, altrimenti le rette sono troppo alte e i salari troppo bassi. Il finanziamento pubblico è insufficiente, per quanto concerne l’assegno parentale abbiamo il mandato del partito di trasferirlo sui nidi: è uno spreco di soldi, onestamente, mentre gli asili sono molto più importanti”.


Paola Bernasconi
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