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19.08.2018 - 15:380
Aggiornamento: 20:35

È deceduto Pier Felice Barchi. "Se dovessi morire, mi dispiacerebbe smettere di imparare"

Il PLR e la politica in lutto: è stato granconsigliere, Consigliere Nazionale e presidente del partito

MANNO – Il PLR è in lutto e con lui tutta la politica ticinese. A 89 anni se ne è infatti andato Pier Felice Barchi.

È stato a lungo granconsigliere ed anche Consigliere Nazionale, ha poi diretto il partito dal 1968 al 1978. Era stato candidato al Consiglio Federale ma non era stato eletto.

Nella vita non politica era avvocato. È deceduto nella sua casa di Manno.

“Se dovessi lasciare la vita mi dispiacerebbe interrompere il percorso di perfezionamento delle mie conoscenze, sia politiche che generali”, disse qualche anno in un’intensa intervista al Gioco del Mondo.

Barchi era figlio di un medico socialista, ma non ebbe mai dubbi sul partito da scegliere. “Sono sempre stato un liberale, pur criticando alcune cose che liberalismo e capitalismo impongono alla società. Il capitalismo commette degli errori ma dobbiamo migliorare la situazione del mondo, sottolineare il nostro impegno di solidarietà, con quello si salva il mondo, rispettando le leggi della libertà. Se pensiamo di risolvere i problemi economici rinunciando al liberalismo commetteremmo un errore enorme”, sostenne sempre in quell’occasione. La sua visione politica era improntata sul capire che cosa fosse realmente necessario e basilare e che cosa secondario, poiché riteneva che per forza di cose bisognava rinunciare a quel che contava meno per ottenere il resto. E al Ticino rimproverava di non saperlo fare, di girare sempre attorno agli stessi temi.

Nella sua vita stimò tantissimo Franco Zorzi, ma ammise sempre di aver incontrato “il buono e il gramo” in ogni corrente politica, diceva che su alcune questioni anche Giuliano Bignasca aveva ragione.
Sin da giovane si mostrò anticonformista, perché scelse di studiare dapprima a Vienna, venendo in contatto con una cultura che lo affascinava come quella mitteleuropea, e poi a Torino. Se Vienna fu una decisione innovativa, Torino fu un revival della strada percorsa dal padre, che, sorrideva Barchi, magari era rimasto deluso nel vederlo fare l’avvocato e non il medico ma fu in parte compensato dalla volontà di andare a Torino. Era la città degli scioperi, e gli permise di conoscere l’Italia dall’interno.

La curiosità e la voglia di conoscere sono stati sino all’ultimo le sue grandi caratteristiche. Barchi era appassionato di spettacoli: a Vienna, aveva detto, non vi era una sera in un cui non era a teatro, e a Torino entrò in contatto con il Cineclub. Coltissimo, aveva una biblioteca fornitissima, di ogni genere, dai testi di teatro, appunto, alla letteratura, sino alle scienze economiche di cui era appassionato. Amava la cultura statunitense, cercò anche di portare il suo gruppo, i liberali, quando era capogruppo in Gran Consiglio, in America senza riuscirvi. Per lui viaggiare era sempre stato un modo di soddisfare la sua curiosità bruciante.

In politica, sedette sia a Bellinzona, in Gran Consiglio, che a Berna. E servire il paese a livello federale è stato un suo sogno realizzato. Ricorda con particolare piacere la sua opposizione al controprogetto del contingentamento degli stranieri: a quei tempi, erano socialisti e sindacati a volerlo. 

Sosteneva che politici in gamba ci fossero anche nell’era attuale, ma che ai suoi tempi in molti entravano in politica, appunto, perché per motivi professionali era quasi necessario, soprattutto se si era avvocati. “Vincere in politica significa ottenere un consenso largo dei tuoi elettori e della popolazione in generale, se vinci sei apprezzato nonostante determinati errori commessi. Mi è capitato di essere stato sconfitto, mi sono detto che avevo sbagliato e ho cercato le ragioni”, spiegò.

Si è spento oggi a 89 anni. La politica e la scena culturale ticinese perde un personaggio che fu tutto fuorchè banale.

 

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