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Elezioni 2019
18.02.2019 - 11:130

La rivoluzione di Frapolli. "Via il vitalizio. E se fossero i benefici a attrarre un candidato, egli non sarebbe la persona giusta"

"Non è da questo tema che dipendono le sorti del Cantone. Ma la fiducia delle persone nella politica è una condizione sine qua non", osserva il candidato pipidino. "Chi eleggiamo deve sapersi poi reinventare"

di Elia Frapolli*

C’è un antidoto all’antipolitica? In molti mi hanno posto questa domanda nelle ultime settimane dopo aver letto i miei interventi, spesso focalizzati sulla necessità, per le istituzioni, di ritrovare un rapporto di fiducia con i cittadini. 

Il tema è tutt’altro che secondario. Proprio la fiducia, infatti, è uno degli elementi alla base della creazione di capitale sociale inteso come risorsa collettiva, patrimonio di legami, di coesione e obiettivi comuni.

Le recenti polemiche legate ai privilegi della politica – dai bonus di fine mandato fino ai rimborsi per spese telefoniche – hanno contribuito a riportare il tema alla ribalta. L’allarme è arrivato da più parti, anche da esponenti del mondo della cultura come lo storico Andrea Ghiringhelli che ha parlato di “una frattura con la società civile ormai diventata una voragine”. 

È ormai noto a tutti che, nell’ambito della previdenza assegnata ai ministri, il Ticino rappresenta un unicum in Svizzera. In tutti gli altri Cantoni i Consiglieri di Stato partecipano, anche se con modalità diverse, al finanziamento della loro pensione e il concetto di “vitalizio” cosi come in vigore da noi, oltre San Gottardo non esiste. 

Mi si dirà che non è da questo tema che dipendono le sorti del Cantone. Vero, rammentiamoci però che la fiducia delle persone nella politica, nelle istituzioni e per certi versi nella democrazia stessa è la condizione sine qua non per poter affrontare i problemi che affliggono il nostro Cantone senza incorrere di volta in volta in polemiche o reazioni di protesta. Il tema è sentito dalle persone e dunque merita tutta la nostra attenzione. 

La pensione a vita per gli ex Consiglieri di Stato è un sistema che poteva avere un senso in altri tempi ma che oggi appare quantomeno desueto. In passato la maggioranza delle persone aveva un solo lavoro durante tutta la vita e lasciare il mondo professionale “tout court” per dieci o vent’anni poteva significare non più riuscire a rientrare.

Ma oggi sappiamo bene che la realtà è mutata. La tendenza è quella di cambiare lavoro molto spesso: è proprio questo che la politica chiede ai giovani e a chi resta senza lavoro. Flessibilità, spirito di adattamento. 

Dovrebbero dunque essere la politica e le istituzioni le prime a dare il buon esempio. L’indipendenza di un Consigliere di Stato – ovvero la libertà di lavorare senza pensare a costruire il proprio futuro professionale – va naturalmente garantita. 

Ma esistono altri modi per farlo. Basterebbe pensare ad una soluzione ponte per qualche anno, un sostegno temporaneo un po’ come accade per la gente comune in caso di disoccupazione.

Questo contribuirebbe ad avvicinare la figura del Consigliere di Stato alle persone. La capacità di reinventarsi è un requisito che non possiamo non chiedere a chi scegliamo di eleggere in Governo. 

Ancora più preoccupante è la teoria secondo la quale se si tolgono determinati privilegi, non ci sarà più nessuno di talento che vorrà correre per il Governo.Ma come? Se fossero proprio questi benefici ad attrarre un candidato, probabilmente quest’ultimo non sarebbe la persona giusta a ricoprire il ruolo. E la posizione di Consigliere di Stato non deve diventare un premio alla carriera politica. Deve rimanere una messa al servizio della comunità.

*candidato PPD al Consiglio di Stato

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