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04.10.2017 - 10:400
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:43

"Eh no Pamini!". Bertoli risponde, "col salario minimo solo per i residenti aumenterebbero i frontalieri"

Il Ministro replica alle proposte del deputato di AreaLiberale sul minimo salariale. "Paradossalmente, se si volessero fare distinzioni che è meglio evitare, applichiamolo solo ai frontalieri. Essi con un minimo generalizzato avrebbero paghe più alte? Effetto inevitabile..."

di Manuele Bertoli*

Il deputato Pamini ha sfornato una proposta quantomeno bizzarra sul salario minimo: un salario minimo solo per i residenti. Questo dimostra come alcuni non capiscano (o facciano finta non capire) alcuni elementi fondamentali del problema riguardante la situazione del mercato del lavoro.

Il popolo ha accettato l’idea del salario minimo per un motivo semplice. Senza questa misura possono venir proposti posti di lavoro a condizioni salariali troppo basse e dunque di fatto inaccettabili per un lavoratore residente in Ticino, ma al contempo sufficienti e dunque accettabili (o persino vantaggiose) per un lavoratore frontaliere che può beneficiare di un costo della vita marcatamente più basso rispetto al nostro.

Con l’introduzione di un salario minimo tarato sul Ticino e uguale per tutti, invece, un datore di lavoro non potrebbe più ingaggiare un lavoratore frontaliere offrendogli un salario inferiore al minimo necessario per vivere in Ticino. Sparirebbero dunque quei posti di lavoro che di fatto possono ora essere accettati solo dai frontalieri, che in Italia possono vivere dignitosamente anche con un salario inferiore al minimo necessario per vivere dignitosamente in Ticino. Inoltre, con l’introduzione di un salario minimo generalizzato, il datore di lavoro non avrebbe più alcun incentivo di tipo economico per preferire un lavoratore frontaliere a un lavoratore residente per lo stesso posto: entrambi gli costerebbero lo stesso.

Se come dice Pamini si decidesse di applicare il salario minimo solo per chi vive in Ticino, è evidente che il fenomeno sopra evidenziato non sparirebbe e che la misura del salario minimo per residenti non servirebbe a nulla. Anzi, probabilmente risulterebbe addirittura controproducente.

Perché controproducente? Perché i lavoratori residenti non potrebbero più nemmeno volendo accedere a tutta una serie di posti di lavoro offerti a condizioni salariali inferiori a quelle sancite dal salario minimo per i residenti, posti che quindi finirebbero inesorabilmente in mano ai lavoratori frontalieri.

Paradossalmente, se proprio si volessero fare distinzioni che è meglio evitare, affinché il sistema sia efficace, si dovrebbe allora piuttosto applicare un salario minimo tarato sul Ticino ai soli lavoratori frontalieri.

È probabile che con un salario minimo generalizzato i frontalieri avrebbero paghe più alte rispetto ad ora. Forse, ma se l’obiettivo è di permettere ai residenti di accettare lavori che, se pagati troppo poco, sono di fatto inaccettabili, questo effetto è inevitabile.

Nessun datore di lavoro, dice Pamini, assumerebbe chi non è capace di produrre almeno l’equivalente del costo lordo del suo salario; quindi con un salario minimo troppo alto ci sarebbero dei problemi all’assunzione. Può darsi. Ma perché allora deve essere lo stato sociale, quindi la collettività, i contribuenti, a mettere la differenza tra quanto prodotto dal lavoratore e il suo salario?

La battaglia per un salario minimo giusto è prima di tutto una battaglia di civiltà, sulla quale non va fatta confusione
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