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Cronaca
27.10.2016 - 14:340
Aggiornamento: 21.01.2022 - 14:40

I comunisti, «Posta, l'unica chance? Unire sindacati e Cantoni contrari al suicidio del servizio pubblico»

Il Partito è convinto che la Confederazione non farà nulla, e intanto invia un'interrogazione con Ay, chiedendo lumi sulla situazione in Ticino

BELLINZONA - La manifestazione non è bastata: la Posta di Balerna, a quanto pare, chiuderà, così come altre 500-600 filiali in tutta la Svizzera, con 1'200 posti di lavoro a rischio (entro il 2020). Il Partito Comunista, da «sempre in controtendenza a sinistra sui temi relativi alla Posta. Se nel 1997 i comunisti furono gli unici a tentare la via referendaria contro la privatizzazione delle PTT (processo peraltro guidato da esponenti socialisti), ancora pochi mesi fa ci eravamo espressi a favore dell’iniziativa a favore del servizio pubblico che avrebbe costretto la Posta a cambiare la propria strategia aziendale dando priorità al servizio pubblico appunto e non alla corsa al massimo profitto» (bocciata dai sindacati e in votazione popolare), fa sentire la sua voce. E, si rammarica, ha avuto ragione: «i dirigenti della Posta non hanno perso tempo, annunciando la chiusura della metà degli uffici postali sopravvissuti alle varie ondate di tagli iniziate una quindicina di anni fa", con molti cittadini che non hanno un ufficio postale vicino. "La giustificazione dei vertici aziendali, secondo cui si tratterebbe di reagire rispetto al calo dei volumi sono scorrette, poiché come dice l'altro sindacato di categoria, il Syndicom, non tengono in considerazione che con i tagli massicci degli ultimi anni già oggi molte prestazioni sono fornite da partner esterni o sono state trasferiti ad altri reparti del gruppo. Grave poi che la Posta agisca sempre quasi fosse una realtà privata e non un’azienda pubblica che dovrebbe dunque coinvolgere la comunità nella pianificazione dell'orientamento aziendale: dai lavoratori agli enti locali», prosegue la nota del Partito Comunista, preoccupato per i cittadini che vedranno peggiorare il servizio a loro disposizione e per i lavoratori che perderanno il posto. «L'autorità federale, che dovrebbe intervenire con forza per riprendere il controllo di questo settore strategico dell’economia nazionale, non muoverà un dito anche perché impegnata a negoziare con l’UE ulteriori forme di liberalizzazione del nostro servizio pubblico (leggi: accordi TISA)". si rammaricano. «Finché i rapporti di forza partitici in parlamento non cambieranno non possiamo farci illusioni. L’unica chance resta allora che accanto alla mobilitazione sindacale dei lavoratori, che siano quei Cantoni che si oppongono al suicidio del servizio pubblico a reagire assieme alle forze sindacali. In tal senso si muoverà una interrogazione del deputato comunista Massimiliano Ay». Essa è arrivata poche ore dopo, e contiene quattro domande per il Consiglio di Stato: «1. Come ritiene di dover intervenire il Consiglio di Stato per fare pressione sui vertici de La Posta e tutelare gli interessi dei cittadini ticinesi che si vedono regolarmente tagliare i propri servizi pubblici? 2. Quanti sono gli uffici postali che saranno smantellati nel Canton Ticino e quanti lavoratori residenti nel nostro Cantone saranno colpiti dalla misura? 3. Quanti sono gli abitanti ticinesi che già oggi non dispongono più di un ufficio postale entro i limiti ragionevoli di distanza fissati dal Consiglio federale? 4. In caso la “strategia” aziendale de La Posta non dovesse cambiare, il Sindacato Autonomo dei Postini (SAP) ha proposto ai Cantoni che si oppongono allo smantellamento degli uffici postali di creare una Posta inter-cantonale e sviluppare una rete propria. Come valuta il Consiglio di Stato questa proposta?»
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