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02.12.2018 - 10:160

Esportazione di armi e il ruolo della Svizzera, Armando Dadò: "Occorre ritornare alla ragione"

Le riflessioni dell'editore ed ex deputato sull'ultimo numero della rivista Il Ceresio: "Non possiamo fare finta di non sapere dove andranno a finire gli armamenti che esportiamo"

* di Armando Dadò

Nelle scorse settimane è giunta una notizia che ha sorpreso e amareggiato molti ticinesi: in Consiglio federale Ignazio Cassis è stato determinante per un allentamento delle norme che riguardano l’esportazione di armi dalla Svizzera verso nazioni che, in un modo o nell’altro, sono in guerra. La decisione del Consiglio federale è stata presa con la maggioranza di 4 a 3 ed è stato Cassis a far pendere l’ago della bilancia. Personalmente non conosco il nostro consigliere e mi affido non tanto alle parole, quanto ai fatti.

Da Flavio Cotti a Ignazio Cassis

Flavio Cotti è stato in Consiglio federale per tredici anni. Ha dapprima diretto il Dipartimento dell’Interno e poi quello degli Esteri. Ha svolto il suo ruolo con grande impegno, lasciando un buon ricordo della sua presenza nel governo della nazione. Dopo di lui sono trascorsi diciotto anni prima che la Svizzera italiana avesse nuovamente un seggio nel Governo del Paese. Il Ticino ha festeggiato in diverse occasioni una nomina tanto attesa anche se non è mancata qualche voce critica. Andrea Ghiringhelli, ad esempio, ha espresso su laRegione le sue riserve per ruoli precedentemente assunti da Cassis, in più circostanze. Riserve non legate alla persona, ma alle sue scelte non condivise, a cominciare dal suo ruolo nelle casse malati. Alla fine è comunque prevalso il ragionamento comune in questi casi: lasciamolo lavorare e poi vedremo.

La guerra, le ferite, le crudeltà

La Svizzera è una nazione privilegiata. Fra i tanti privilegi ha quello d’essere stata risparmiata dalle guerre mondiali: mentre l’Europa è stata devastata, con milioni di morti e feriti, la Svizzera ne è uscita indenne; ma le generazioni di oggi sanno e riflettono su che cosa sono state la prima e la seconda guerra mondiale? Me lo sono chiesto un giorno quando ho incontrato nel mio ufficio una giovane studentessa che, dopo il liceo, stava frequentando l’università. Quando le ho consegnato un libro sul generale Guisan, candidamente mi ha domandato: "Di chi si tratta? Di un generale francese?".

Per capire gli orrori della guerra non è necessario ricordare la seconda guerra mondiale o tornare alla prima; basta aprire gli occhi su quanto la televisione ci porta quotidianamente nelle case: in Iraq, in Siria, in Afghanistan, in Libia e in molte altre parti del nostro martoriato pianeta. C’è da inorridire di fronte a questo continuo massacro di popolazioni inermi.

Soffermiamoci un momento a riflettere. Migliaia di persone e di famiglie perdono i propri cari, la casa e gli amici. I loro beni sono ridotti in macerie. Muore un’infinità di gente che non è responsabile di nulla: bambini, donne, giovani e anziani. Moltissimi rimangono feriti: chi perde un braccio, chi una gamba, chi gli occhi, chi si trova con il viso sfigurato e chi è costretto a trascinarsi fra indicibili sofferenze. Chi in questo inferno smarrisce il ben dell’intelletto grida a squarciagola o geme in continuazione per le ferite subite nel corpo martoriato. I pochi ospedali sono affollati e le medicine scarseggiano. Non ci vuole molta fantasia per capire che cosa sia la guerra e che cosa significhino queste stragi, questi trionfi di crudeltà.

La tradizione umanitaria svizzera

In un mondo così tragicamente dilaniato il compito della Svizzera è quello di aiutare nel limite del possibile. La Svizzera è sede della Croce Rossa e patria di Enrico Pestalozzi e di Henry Dunant. Gli uomini del nostro tempo sanno ancora chi sono questi maestri che hanno dedicato intelligenza e vita a chi si trovava nella sofferenza e nel bisogno? Conoscono ancora l’esempio di chi ci ha indicato la via da seguire? A che serve avere a Ginevra la sede di tante benemerite istituzioni internazionali se poi la Svizzera esporta armi ai possibili carnefici?

Naturalmente la maggioranza del Governo federale, che ha deciso di facilitare l’esportazione delle armi, ha tenuto conto degli interessi economici del Paese. Significa, questo, che gli interessi economici devono prevalere sull’etica, sulla morale e sulla vita delle persone? Quando si tratta del vitello d’oro, si può fare strame di ogni principio? Quando ci sono di mezzo i soldi, è tutto permesso?

Gli interessi economici possono essere mascherati da posti di lavoro. Certo, i posti di lavoro sono importanti, ma non possono essere causa di sofferenza e di morte. Già di per sé la vendita di armi non può essere motivo di grande entusiasmo. Tuttavia, un conto sono le armi destinate alla difesa e un altro quelle destinate a crimini contro persone inermi.

Riprendere la ragione

In un mondo balordo, che sembra aver perso la bussola, occorre ritornare alla ragione. È un discorso ampio, che coinvolge molte realtà. Restiamo pure nel nostro Paese e domandiamoci qual è il ruolo della Svizzera. Certamente è importantissimo che l’organizzazione dello Stato sia efficiente, che ci sia lavoro per tutti, che l’economia funzioni, che le fabbriche producano, che i treni siano in orario; ma è altrettanto importante il senso di responsabilità di ogni nostra azione. Vendere armi a Paesi in guerra è un crimine. La Svizzera non può far finta di non sapere dove andranno a finire gli armamenti che esportiamo.

Cassis non è stato il solo a prendere questa sciagurata decisione. C’erano anche altri suoi colleghi. Ci sia però permesso dire che noi ticinesi attendiamo innanzitutto dal «nostro» consigliere federale una condotta esemplare, che renda onore ai valori più sacri della Svizzera, così come fecero Stefano Franscini e tutti coloro che lo hanno seguito.

Al momento di andare in stampa apprendiamo che il Consiglio federale, sulla spinta delle numerose reazioni negative suscitate dalla decisione di allentare il divieto sull’esportazione di materiale bellico verso i Paesi in guerra, è tornato sui suoi passi. È il caso di dire: meglio tardi che mai.

Le orrende notizie di queste settimane

Nel frattempo accadono cose orrende che sono ora portate a conoscenza dell’opinione pubblica mondiale. Nell’ambasciata dell’Arabia Saudita a Istanbul viene torturato e ucciso un giornalista saudita che denunciava la corruzione. Sembra che il suo corpo sia stato tagliato a pezzi e sciolto nell’acido. È questo il vero volto del Regno saudita?

Il New York Times ha pubblicato la fotografia di una bambina yemenita ridotta allo stremo, solo pelle e ossa. Debilitata da fame, vomito e diarrea, non parlava più e sarebbe morta tre giorni dopo. Da tre anni e mezzo lo Yemen è bombardato dall’Arabia Saudita, la quale riceve gli armamenti dagli Stati Uniti e dall’Europa. In questi anni vi sono state oltre quindicimila vittime, otto milioni di abitanti rischiano la morte per fame, due milioni di bambini sono denutriti e duemila persone sono state uccise da un’epidemia di colera. Lo Yemen è diventato un inferno: la fotografia di questa bambina di sette anni, ripresa dal Corriere della Sera, mostra al mondo ciò che sta accadendo nell’indifferenza generale. Questa bimba abitava in una baracca di plastica e paglia. I suoi avevano venduto le capre ed erano rimasti senza soldi. La bambina, ridotta a un mucchietto di ossa, era stata portata in un campo profughi che accoglie una massa di disperati. Otto milioni di yemeniti sopravvivono grazie all’aiuto di organizzazioni umanitarie. È una foto che spezza il cuore, ma servirà a smuovere chi detiene il potere?

Qual è il ruolo della Svizzera?

La Svizzera è fra i Paesi che hanno venduto armi all’Arabia Saudita. Questa nazione, governata da una monarchia, dispone di enormi risorse grazie al petrolio di cui è ricchissimo il sottosuolo. Le condizioni di vita, però, sono quelle di un Paese arretrato. In particolare, le donne hanno pochi diritti. Il giovane principe, salito da qualche tempo al potere, aveva annunciato grandi riforme ed espresso il proposito di ammodernare il Paese. Tuttavia la realtà sembra essere molto diversa ed è quella dei crimini qui descritti. Noi ovviamente non possiamo fare molto, ma dovremmo almeno chiederci quale debba essere il ruolo della Svizzera. La Svizzera può fornire materiale bellico a una simile nazione? La risposta è chiara. No, non lo può fare.

*editore - Editoriale pubblicato sull'ultimo numero della rivista Il Ceresio

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