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14.04.2016 - 14:080
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:43

#ThankYouKobe, un hashtag e 60 punti per l'addio del Black Mamba

«Sono sempre stato un tifoso Lakers. Vi amo tutti dal profondo del mio cuore», è il saluto di Kobe Bryant ai suoi tifosi. Lo sport ha ancora bisogno di bandiere

LOS ANGELES - Quante volte si è detto che nello sport, ormai, comanda lo show businnes? Che le bandiere sono ormai sorpassate, che tutto va veloce e conta solo vincere e preferibilmente fare soldi, calpestando gli uomini? Un discorso apertissimo in Italia, dove Francesco Totti, pare incredibile, sta lottando per avere il rinnovo del contratto nella sua Roma. Forse il Capitano non accetta il declino, forse davvero una bandiera non serve. Fermarsi quando si è ancora sulla cresta dell'onda è un buon viatico per farsi ricordare nel migliore dei modi, ed è quello che ha scelto Kobe Bryant. Da ieri, è un ex giocatore dei Lakers. Sentendo la sua storia, si pensa che forse le bandiere hanno ancora un senso, soprattutto quando una squadra blasonata sacrifica di fatto una stagione, facendola diventare prima di tutto la stagione dei saluti. Figlio id un cestista, Kobe comincia a respirare basket da piccolissimo in Italia, poi l'inevitabile salto negli USA ed una carriera, tutta intera, con la stessa maglia, dal 1996 a ieri sera. Il primo anno è acerbo, il secondo raddoppia la sua media punti, il terzo diventa guardia titolare: da qui al cuore dei tifosi, il passo è breve. Nel 2000, 2001 e 2002 arrivano tre titoli NBA. Nel 2003 un'accusa infamante come quella di stupro rischia di distruggere il mito, anche se poi fu ritirata. Bryant perse alcuni contratti, e il rapporto con una leggenda del basket come Shaquille O'Neal, che in realtà temeva la perdita del suo ruolo di leader per la crescita del giovane talento. Nel 2004 Bryant, deluso dalle stagioni dei Lakers, pensa di andar via, ma poi sceglie di restare e rinnova per sette anni: tocca a O'Neal andarsene. I Lakers non si priveranno mai del loro astro nascente, divenuto idolo, anzi per convincerlo a restare qualche anno dopo ingaggeranno anche un colosso come Paul Gasol. Bryant con i Lakers ha siglato il secondo miglior punteggio di sempre in una partita, 81 punti, nel 2007-08 è il miglior giocatore di NBA, e vince altri due titoli. una leggenda. Ad annunciare l'addio al basket è lui, con una lettera che ha fatto il giro del mondo. È il 29 novembre 2015, e il mondo della palacanestro non sarà più lo stesso. «Caro basket, dal momento in cui ho cominciato ad arrotolare i calzini di mio padre e a lanciare immaginari tiri della vittoria nel Great Western Forum ho saputo che una cosa era reale: mi ero innamorato di te», scrive, come nelle migliori lettere d'amore. «Ho corso su e giù per ogni parquet dietro ad ogni palla persa per te. Hai chiesto il mio impegno ti ho dato il mio cuore perché c’era tanto altro dietro. Ho giocato nonostante il sudore e il dolore non per vincere una sfida ma perché TU mi avevi chiamato. Ho fatto tutto per TE perché è quello che fai quando qualcuno ti fa sentire vivo come tu mi hai fatto sentire». Ma anche le belle favole hanno un finale, e dunque «questa stagione è tutto quello che mi resta. Il mio cuore può sopportare la battaglia la mia mente può gestire la fatica ma il mio corpo sa che è ora di dire addio». Un addio prima del declino, insomma. Un addio che è durato un'intera stagione, perché tutta l'America ha voluto salutarlo. la differenza fra un idolo e un semplice campione è che la leggenda viene applaudita ovunque, anche se gioca per gli avversari. Il basket americano ha vissuto un'annata tutta per Kobe, e poco importa se per i Lakers è stata una delle peggiori di sempre. Cambiare roster e introdurre nuovi giovani avrebbe voluto dire oscurare Bryant: un anno sacrificato sull'altare del proprio idolo, hanno deciso i dirigenti. E così è stato, col tempo che si assottigliava, fino a ieri. L'ultima partita, l'ultimo canestro. 60 punti, la prova che Bryant lascia da grande giocatore, non da stella cadente. Ieri sera allo Staples Center c'erano tutti per lui, David Beckham, Ale Del Piero, Jack Nicholson, Jay Z e una serie infinita di grandi medie e piccole star di ogni mondo e di ogni latitudine. Los Angeles ti ama, gli hanno detto. Hanno infarcito uno show in perfetto stile cinematografico, ma d'altronde da queste parti che cosa ci si potrebbe attendere di diverso? «Sono sempre stato un tifoso Lakers. Vi amo tutti dal profondo del mio cuore», saluta alla fine di una carriera Black Mamba, come è soprannominato. Termina l'attività, ma non la sua leggenda. Qualcuno dice che gli eroi vanno e vengono, le leggende restano. E lo sport, forse, ne ha bisogno. Che Kobe Bryant sia stato un esempio più unico che raro è sicuro, però è anche la prova che il grande cuore dello sport sono i tifosi e i loro idoli. Che, se sanno fermarsi al momento giusto, lasceranno da grandi.
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