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23.05.2017 - 09:000
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:43

Il destino maledetto dei campioni che sfidano la velocità e poi se ne vanno in circostanze di vita normale. Nicky Hayden non ce l'ha fatta

Il campione del mondo di Moto GP 2006 è deceduto a Cesena dopo cinque giorni di coma a seguito di un incidente in bicicletta: un'auto lo ha investito. La sua tragedia ha scosso il mondo

CESENA – Bacheche piene di saluti, post commossi: il mondo saluta Nicky Hayden, campione del Mondo della Moto GP nel 2006.

35enne, era stato compagno di Valentino Rossi, per poi trasferirsi e continuare a gareggiare in Superbike. Aveva deciso di rimanere qualche giorno in Italia dopo una gara a Imola, e purtroppo vi ha trovato la morte, dopo cinque giorni di coma, all’ospedale di Cesena a causa di un incidente successo mentre era in bicicletta.

In molti lo ricordano con il suo numero, il 69, tutti si sentono partecipi della tragedia di Nicky. Insomma, un mondo di esperti di motociclismo? No, probabilmente. Sono altri i dettagli, al di là della carriera, ad aver colpito universalmente.

Prima, ovvia constatazione, è come la morte che coglie in giovane età lascia sempre sgomenti.

Poi, la lotta disperata di Hayden, con la famiglia a fianco. Sin dal primo momento in cui era stato ricoverato, le sue condizioni lasciavano poco spazio alle speranze. Era inoperabile, recitavano i bollettini medici, e dunque non rimaneva che aggrapparsi a un filo, a un miracolo che a livello medico era difficilissimo prevedere. Cinque giorni che sono sembrati probabilmente eterni a chi non ha ma abbandonato il pilota, a partire dai familiari sino alla fidanzata. Fatale è stato un politrauma cranico e addominale.

Hayden, che correva a 250 chilometri orari, sfidava la gravità in sella alla sua moto, col ginocchio quasi a terra nelle curve mozzafiato, ha trovato la morte andando a 30 chilometri all’ora in bicicletta. Ecco, è forse questo l’elemento che ha scosso il mondo. Cadere e rialzarsi, magari con la moto addosso, quasi senza un graffio: quante volte l’ha fatto, quando sarebbe potuto succedere di tutto? Eppure da buon pilota si alzava, si scrollava la polvere di dosso e risaliva in sella, scene quotidiane. È una beffa del destino sfidare la velocità e uscirne vincitore su una moto per poi morire durante un’uscita in bicicletta con gli amici. Una passeggiata di allenamento, forse addirittura con la musica nelle orecchie, in tutto relax, finché un’auto è spuntata da un incrocio e lo ha travolto. È cominciato così il calvario di Hayden.

Un video dell’accaduto è al vaglio degli inquirenti, pare che il pilota non abbia rispettato uno stop. Beffa nella beffa. E tornano in mente altri sportivi capaci di sfidare la sorte in un crescendo di adrenalina per poi essere fermati sul più bello, nel modo più atroce.

Come scordare Michael Schumacher, il pilota più vincente della storia della Formula 1? Al volante della sua Ferrari nulla lo fermava, ha riscritto le pagine e le leggende dello sport, eppure da qualche anno lotta con la sua solita grinta per tornare a una vita normale. Quella che conosceva prima è cambiata un giorno sulle nevi svizzere, mentre sciava. Destino, ancora lui: fortunatamente, Schumi è vivo, è stato più fortunato di Hayden, però la sua quotidianità è del tutto diversa.

Oppure Clay Regazzoni, il pilota ticinese per eccellenza. Una vita al volante, riuscì a ripartire dopo il tremendo incidente di Long Beach che lo aveva reso paraplegico, senza fargli passare la voglia di guidare, e trovò la morte sull’autostrada A1 in prossimità dello svincolo di Fontevivo con la A15 Parma-La Spezia. Un viaggio normalissimo mai portato a termine.

Ci si chiede che disegno della logica e della vita possa esserci nell’uscire senza graffi da gare adrenaliniche contro il muro della velocità, e poi perdere la vita in circostanze banali. Nessuna, probabilmente, un mistero in più che si aggiunge a quello della morte.

Per questo, oggi tutti si sentono “69”, Nicky Hayden.
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