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Cronaca
17.04.2018 - 18:150
Aggiornamento: 21.06.2018 - 14:17

Chapeau, 'paradosso' Ewolo. "Partiamo da ciò che ci accomuna: tutti vogliamo vivere dignitosamente, avere una famiglia e degli amici. In questa società dove abbiamo tutto, c'è un grande vuoto"

Chiacchierata a 360° con il 'paninaro' per eccezione, che a Vezia il 21 aprile aprirà la sua nuova attività, nata dal crowfunding. "Mi fa male vedere i giovani senza valori, che guardano solo calciatori e attori, dove uno su mille ce la fa. Mi dicono che sono diventato un simbolo... E oltre ai panini, preparo i Bounty per vegani"

VEZIA – Non sono mai stata nel suo truck, eppure mi accoglie come un’amica e mi invita ad andare a trovarlo, che ha un gadget per TicinoLibero. Ma Cristel Ewolo lo ammette, la sua particolarità è proprio quella: creare un angolo non solo dove mangiare, bensì dove poter sorridere.

Fra quattro giorno aprirà la sua nuova attività a Vezia, nata grazie a un crowfunding via Internet, che in un lampo ha raccolto i fondi necessari. Ho fatto due chiacchiere con lui: di interviste ne realizzo molte, eppure alcune lasciano a bocca aperta. Per me è stata una di quelle, mi auguro possa esserlo anche per voi.

Cristel, quanto sei emozionato?
“Molto. Sono sotto pressione, da quando è uscita la notizia del crowfunding in molti non vedono l’ora che apro, soprattutto i giovani delle medie di Vezia. Per l’inaugurazione vorrei fare un piccolo aperitivo, raccogliere le persone che mi hanno dato una mano, distribuire i benefit, fare due chiacchiere, magari con un piccolo intrattenimento. C’è tanto coinvolgimento, da parte dei giovani. Sono diventato un punto di riferimento, la cosa più bella è che pensano che se ce l’ho fatta io possono farcela anche loro”.

Ti senti un simbolo per tanti?
“Mi dicono tutti di sì! Quando ho iniziato, erano davvero in pochi a crederci. Ho tenuto duro perché volevo creare qualcosa che potesse continuare a tenere vivi i valori dell’amicizia e dello stare assieme, far capire che non sono lo straniero che vuol venir qua e non fare niente, che se mi si dà la possibilità, non solo a me ma a tanti giovani. Prima di arrendersi bisogna tentare, è sempre stata la mia filosofia”.

Va detto che sei stato premiato perché sei conosciuto, un giovane sconosciuto farebbe fatica…
“Chiaro, però per arrivare ai risultati devi mostrare di essere serio e coerente e che ciò che fai ha uno scopo. È l’intento con cui si fa che porta a guardarti in modo diverso. Sono partito da solo, senza auto, a far la spesa con cinquanta borse della spesa, mi dicevano che ero pazzo o chissà cosa facevo. Anno dopo anno invece hanno capito che ci credevo. Poi anche il prodotto ha fatto la differenza, nel mio piccolo ho voluto valorizzare quel che c’è sul territorio. Cosa farò nel nuovo truck? Ci sarà qualche novità, sto cercando con un’amica di promuovere dei piccoli dolci vegani, dei piccoli bounty creati apposta per loro. I miei prodotti però sono ancora talmente richiesti che la mia clientela vuole quelli, cerca i miei cavalli di battaglia. C’è un panino per ogni tipo di clientela”.

Fa sorridere che tu che, malgrado vivi qui da anni, sei straniero, punti sul locale e altri non lo fanno, no?
“Sono un paradosso, è vero. Penso che per creare qualcosa di nuovo posso usare qualcosa di mio usando quel che c’è già. Mi piacerebbe che lo street food fosse una cucina creativa. Molti investono in un locale, si indebitano, senza essere consapevoli se il tutto porta a qualcosa. Molti bar e ristoranti chiudono dopo poco, la gente cerca altro e vuole spendere soldi per qualcosa che a casa non mangia, non magari per una pasta. Ho sempre cercato di tenere i prezzi bassi, pensando soprattutto ai giovani, che non hanno uno stipendio e devono andare al grande magazzino a comprare il cibo. Ho voluto dare una scelta, se puoi decidere sei felice. L’ho fatto in modo umile, se non avesse funzionato ci avevo almeno tentato”.

Ma essere di colore ha fatto sì che fosse più difficile?
“Sì, lo è stato molto. All’inizio è stato un po’ un problema ma poi si è rivelato il mio punto di forza. La mentalità odierna dice che lo straniero non ha voglia di fare, io ho fatto vedere che non era vero. Se si va al di là dell’aspetto ci si rende conto che siamo tutti uguali, ho cercato di partire da ciò che ci accomuna, non le differenze: questo rende più facile convivere”

Quindi, che cosa ci accomuna?
“Il voler vivere dignitosamente, poter creare una famiglia, avere degli amici, essere considerati, non essere guardati come marziani che vogliono invadere. Pensa che io ho imparato il dialetto, la massima forma di integrazione forse! Lasciare i propri cari e la propria terra richiede coraggio, tutti vogliamo essere felici, partendo dalle piccole cose, anche solo da un sorriso. Cercate di creare un contatto con lo straniero. Io sono qui da 35 anni, mi fa male vedere i giovani senza valori, che guardano solo attori e calciatori, pur sapendo che solo uno su mille ce la fa, come dice Morandi. Volevo farcela da solo, non ho una famiglia cui appoggiarmi. Devo ringraziare, da sempre, il signor Paolo Pezzoli: un giorno cercavo lavoro, e lui mi ha detto che era membro della Fondazione Margherita, mi ha dato 18mila franchi da cui sono partito: meno male c’è ancora chi valorizza le idee! Perché essere egoisti? Si può ancora fare qualcosa per regalare quella felicità di cui abbiamo tanto bisogno”.

Quanta responsabilità ti senti, verso la gente che ti ha aiutato?
“Me ne sento tanta, col crowfunding la gente mi ha ricompensato, hanno visto in me una persona umile e corretta che non vuole fregare nessuno. Non vedo l’ora di aprire per ripagarli, ho sempre postato i progressi per mostrare loro cosa veniva fatto. Il loro aiuto è stato determinante. Se ci si mette insieme si può costruire, non vedo l’ora di partire per la gente. Mi dicono che erano abituati a vedermi, e non solo per i panini. Era un piccolo angolo dove uno per cinque minuti poteva estraniarsi, entrando in una dimensione diversa, dove chiacchierare. Magari passi da me fra un anno e ricordo di cosa abbiamo parlato e cosa ho mangiato, e mi dicono ‘ma ti ricordi di me, non sono un cliente’. Non sono qui per vendere il panino, per creare momenti. E vengono per me, siamo in una società dove abbiamo tanto ma c’è un vuoto interiore. Vorrei ricreare un piccolo mondo dove tramandare i valori della condivisione, piccoli momenti che spero diano tanto. A lungo andare il riscontro c’è, investire nel lungo termine è quello che serve, oltre al’effimero consumismo. Prendiamo l’esempio di Locarno e dell’installazione: abbiamo tutto e non sappiamo cosa farcene”.

Paola Bernasconi
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