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Cronaca
08.01.2016 - 17:180
Aggiornamento: 21.06.2018 - 14:17

Dimissioni precoci, due fughe in taxi e sei giorni di cure intense: malasanità alla CPC?

Una donna racconta il calvario vissuto col fratello, ricoverato in modo coatto alla Clinica Psichiatrica di Mendrisio e finito in coma farmacologico. «È professionale, questo?»

MENDRISIO - In redazione ci è giunta una drammatica testimonianza di quello che la signora autrice della lettera ha definito un caso di malasanità in Ticino. Coinvolta è la Clinica Psichiatrica Cantonale di Mendrisio, rea di aver permesso a un paziente di fuggire per ben due volte con un taxi e di non essersi preoccupata delle sue condizioni fisiche, tanto che l'uomo è stato costretto ad un'operazione d'urgenza e a sei giorni di cure intense. «Mio fratello è un paziente la cui gestione a domicilio era passata da molto problematica, a impossibile sotto ogni punto di vista: proprio per questo, ha dovuto essere ricoverato in forma coatta a Mendrisio», comincia il racconto. Con sua grande sorpresa, però, dopo poche settimane la clinica ha deciso di dimettere l'uomo, «nella prospettiva illusoria che prima lo si torna a rendere indipendente, e prima riuscirà a superare i propri problemi. A filo di buon senso, però, si sarebbe dovuto dapprima tentare quanto meno di curarlo, anche nel senso di riequilibrarne un minimo di capacità organizzativa: a questo dovrebbe innanzitutto servire, se non m’inganno, una clinica specializzata in questo settore. Invece, a quanto pare, il sacro principio vigente alla Clinica Psichiatrica Cantonale è quello di pensare a dimettere i malati, al più presto». L'uomo, prosegue la testimonianza della sorella, ha potuto lasciare anzitempo e di sua iniziativa la struttura a bordo di un taxi per tornare a proprio domicilio. Avvisati della fuga, dall'OSC hanno detto di provare a lasciarlo organizzarsi da solo, «non risultava pericoloso, né per sé, né per gli altri. Improvvisamente, dunque, non si considerava più la necessità o l’urgenza di curarlo, ma soltanto la sua eventuale innocuità verso sé e verso gli altri». La salute dell'ammalato è però peggiorata anziché migliorare, tanto da richiedere un ricovero all'Ospedale di Bellinzona e poi di nuovo, in modo coatto, alla CPC. Dalla struttura l'uomo se n'è andato ancora una volta in taxi. Il tutto «senza che, da parte del personale della Clinica mi si contatti tempestivamente: passano anzi non meno di 20 ore, prima di ricevere una telefonata (sono l’unica famigliare diretta). Nel frattempo, corsa affannosa, da parte mia, e constatazione impressionante, questa volta, di uno stato di cose indicibilmente degradato e certo incompatibile con qualsiasi idea di vita autonoma, o di persona riequilibrata», prosegue l'angoscia della sorella. Lo stato fisico, poi, è preoccupante. La donna, sentendosi sola, ha chiamato l'ambulanza. È agosto, «tempo di ferie», come constata con ironia. Al Pronto Soccorso di Bellinzona si è temuto addirittura per la vita dell'uomo, operato d'urgenza, intubato e mantenuto in coma farmacologico per sei giorni in cure intense. «Ma alle condizioni fisiche, alla CPC, nessuno sembra aveva dato peso (ormai... si tratta di pazienti disturbati psichicamente…). Ha dovuto essere operato d’urgenza, ma intanto mi chiedo: tutto questo è normale, è professionale?», si conclude l'accorata testimonianza della sorella del malcapitato.
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