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Cronaca
03.08.2016 - 11:270
Aggiornamento: 21.06.2018 - 14:17

«Solo alla fine capisci di che muro si tratta». Festival, stupiscici!

Carlo Chatrian parla dell'edizione che sta per partire: non dà importanza al fatto che tutti i film siano in prima mondiale, punta sul passato che aiuta a capire il presente e sulla pellicola ticinese "Il nido"

LOCARNO - Il Pardo sta per partire. Come sarà l'edizione numero 69 del Festival, ovvero quella che sta fra il grande successo dello scorso anno e la ricorrenza dei 70 anni del 2017? Il direttore artistico Carlo Chatrian parla di un'edizione libera, lo ha fatto sin dalla presentazione. E in un'intervista rilasciata al Corriere del Ticino spiega perché. «A livello inconscio c’era però la volontà di smarcarsi un po’ da un’edizione di grande successo come quella del 2015 che era però rivolta, anche per ciò che riguarda i film nuovi, a celebrare i grandi maestri del cinema. Abbiamo quindi puntato a proporre un programma “nuovo”, non solo attraverso i film che mostriamo ma anche nelle sue linee di fondo. Quest’anno ci hanno interpellato di più i film di giovani registi rispetto allo scorso anno". Alla base, anche alcune circostanze, su tutte il fatto che non ci siano molti film americani interessanti, complici le Olimpiadi: è quello a stelle e strisce infatti il mercato che si va a sondare per primo. In molti hanno sottolineato come in concorso vi saranno solo opere in prima mondiale, una prova di quanto il Festival sia attrattivo. Chatrian invece non dà importanza a questo dettaglio, «è un dato che ha un rilievo soprattutto per gli addetti ai lavori, ma per me la ricerca dell’inedito assoluto non è un fattore così fondamentale. La cosa importante è che i film siano apprezzati dal pubblico. Sicuramente, avendo a che fare con molti registi esordienti, è più facile avere prime mondiali». Il momento che vive il mondo è senza dubbio delicato, ma non necessariamente esso deve riflettersi nel film. L'apertura, spiega Chatrian, è dedicata a una pellicola sugli zombie, che vuol declinare però la paura in senso positivo. «Ci sono molte opere che si confrontano con il passato del Paese o della cultura che rappresentano. Come a dire: quando si fatica a leggere il presente, una possibile traccia per orientarsi si trova nel passato», aggiunge, citando in particolare "Vor der Morgenröte" e "Cessez-le-feu".Non poteva mancare l'Islam, in un film che però non verte solo sulla tematica religiosa. Si tratta di "Le ciel attendra", che Chatrian descrive come «un film che parte dall’attualità gettando uno sguardo sul potere di seduzione che un certo Islam, quello più radicale, può avere sui giovani. Nel caso specifico vengono seguiti i percorsi opposti di due ragazze e il loro rapporto con i genitori. È un film che parla di confronto fra generazioni, cioè di come i genitori faticano a capire i figli quando questi prendono decisioni che li portano a derive in questo caso religiose. Non è un film che parla di terrorismo, ma di un processo di radicalizzazione che significa anche escludersi dal mondo». Dopo quasi 15 anni ci sarà anche un film ticinese, "Il nido". «La storia secondo me parla molto al Ticino e alla Svizzera, perché si confronta con l’idea della comunità come un luogo chiuso, che si vuole proteggere a tutti i costi. Lo fa grazie a un soggetto particolare con al centro una famiglia legata a un culto religioso. Ha diversi elementi interessanti che esulano dal consueto quadro delle produzioni ticinesi e d’altra parte è un lavoro molto interessante anche dal punto di vista produttivo poiché coinvolge due realtà come la Amka Films di Tiziana Soudani e la Tempesta di Carlo Cresto Dina che hanno già collaborato più volte con ottimi risultati. È un film che secondo me può smuovere determinate coscienze grazie a un racconto di finzione seppur ispirato a un fatto realmente accaduto. Sul fronte italofono c’è inoltre Pescatori di corpi di Michele Pennetta, italiano attivo in Svizzera, già premiato a Locarno per un cortometraggio e che ritorna con un lavoro che conferma il suo talento di filmaker». Chatrian punta su "Il viaggio della speranza", riproposto a 25 anni dall'Oscar, una pellicola che racconta la traversata dall’Italia al Ticino vista in un contesto invernale, drammatica e al tempo stesso umana. Come sarà il Festival, comunque, lo si dirà alla fine, e il direttore usa una metafora. «Quando mettiamo in piedi un’edizione procediamo come fa un muratore con i mattoni. Ovviamente i primi mattoni del 2016 sono già pietre fondanti, come la Retrospettiva, e altri indirizzano l’edizione in un senso o in un altro. È solo alla fine però, quando il muro è terminato, che capisci di che tipo di muro si tratta. Il risultato è una miscela tra quel che riceviamo – perché non siamo noi a girare i film – e quali ospiti riusciamo ad accaparrarci, magari dopo averli seguiti per anni come nel caso di Jodorowsky (che, per la prima volta ospite a Locarno, riceverà il Pardo d'onore)». Proiettandosi al 2017 e all'edizione numero 70, Chatrian spiega che non si vogliono aumentare i film bensì le repliche, grazie al Gran Rex e la Casa del cinema. Nel frattempo, le misure di sicurezza, dato il periodo storico, sono state potenziate, anche se ci sono stati segnali di pericolo. Verranno perquisite borse e persone, ma l'unico disagio che si prevede per gli spettatori è una maggior attesa per entrare nelle sale e nei luoghi ove si svolgono le manifestazioni.
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