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Cronaca
23.10.2017 - 17:500
Aggiornamento: 21.01.2022 - 14:40

I referendum secondo Mazzoleni, "la loro forza e la loro debolezza è il non dire esattamente cosa devono le autorità. Il modello svizzero? Difficile esportarlo in paesi con tradizioni diverse"

Il noto politologo analizza con noi i risultati in Lombardia, Veneto e Catalogna. "Significano che non c'è più un consenso politico unanime né a livello regionale né a livello nazionale. Ciò che accomuna le situazioni è la politicizzazione dell'identità in nome del benessere economico"

LOSANNA - Lombardia e Veneto, seppur con partecipazioni e percentuali diverse, hanno detto sì all'autonomia, il tutto poche settimane dopo la Catalogna. Cosa sta succedendo in Europa? È vero che il modello federalista del nostro paese potrà essere il futuro del continente?

Ne abbiamo parlato con il professore di scienze politiche e direttore dell'Osservatorio della vita plitica regionale dell'Università di Losanna, Oscar Mazzoleni.

Come legge i risultati dei referendum in Lombardia e Veneto?
"Come un ritorno, in Italia, delle rivendicazioni regionaliste come tema di rilevanza nazionale, dopo che da alcuni anni, la crisi economica, le difficoltà delle finanze pubbliche e le nuove strategie della Lega Nord ne avevano indebolito l’importanza".

Quanto accaduto in Catalogna secondo lei ha influenzato in qualche modo, se non il risultato, almeno la percezione di questo voto?
"Mi sembra che in Italia gli attori politici più rilevanti, sul piano regionale e su quello nazionale, abbiano evitato nelle settimane precedenti ogni drammatizzazione di questi appuntamenti circoscritti alla Lombardia e al Veneto. Per ragioni convergenti si è preferito prendere le distanze dalla questione catalana e dalla logica del “muro contro muro”, anche se non sono mancati frangenti in cui tale abbinamento è avvenuto".

Sia in Catalogna che in Italia sono referendum consultivi, può spiegare che cosa significa?
"Sul piano formale, entrambi non comportano un cambiamento immediato della costituzione o delle leggi, ma forniscono un’indicazione di massima per le autorità, ossia parlamenti e governi. Lo stesso è accaduto con il voto della Brexit. Tuttavia, al di là della questione formale, la messa in opera e le indicazioni di referendum consultivi possono essere interpretate in modo anche molto diverso: come politicamente poco vincolanti oppure come motori di cambiamenti radicali ed inaspettati. I referendum consultivi italiani rientrano nel primo caso, quello catalano nel secondo caso".

Perché appaiono così importanti nonostante il loro carattere consultivo?
"In entrambi i casi segnalano che una parte più o meno importante di cittadini non condivide o non è più d’accordo con gli attuali assetti istituzionali. Segnalano inoltre che non esiste un consenso politico unanime né a livello regionale, né a livello nazionale. Nel contempo, non dicono precisamente cosa dovranno poi fare le autorità in caso di approvazione dei referendum. Sta qui la loro debolezza ma anche la loro forza potenzialmente travolgente. Se il loro contenuto allude ad una rimessa in discussione degli assetti istituzionali e ci sono in campo forze rilevanti che li interpretano in modo contrapposto, come oggi in Catalogna, i referendum consultivi possono essere ben più dirompenti di quelli che hanno forza di legge, ossia di quelli che votiamo abitualmente in Svizzera. In questo senso, in generale, i referendum possono avere significati contraddittori e paradossali ma raramente irrilevanti".

Sull'Europa spira un vento autonomista/indipendentista, quanto meno nelle regioni
"ricche"? Vedesi anche le province VCO e Novara che vogliono annettersi alla Lombardia...

"I processi di globalizzazione e la maggiore competizione fra i territori, ma anche le difficoltà degli stati nazionali a governare i cambiamenti contribuiscono a ravvivare vecchie forme di rivendicazione regionalista o di suscitarne di nuove. Non si tratta solo delle regioni più ricche, sebbene molte di queste rivendicazioni abbiano risvolti economici. Ciò che accomuna queste rivendicazioni è la politicizzazione dell’identità in nome del benessere economico".

Il veneto Zaia ha ribadito che il modello vincente per l'Europa del futuro è la Svizzera, crede si possa con gli anni andare in quella direzione?
"L’esperienza svizzera, confederale e poi federalista, si è costruita nel corso dei secoli. Può essere d’ispirazione e fornire alcune indicazioni. Penso in particolare al suo rappresentare, in Europa, una terza via alternativa sia al secessionismo sia al centralismo. Ma difficilmente l’esperienza elvetica può essere presa come un modello da esportare in paesi che hanno tradizioni diverse. In generale, occorre diffidare dall’ingegneria istituzionale, soprattutto di quella poco attenta al peso delle istituzioni politiche, alla loro capacità di modellare le mentalità collettive, nonché alla diversità delle culture politiche che affondano le radici nella storia di ciascun paese".


Paola Bernasconi
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