La nomofobia può portare a una crescente difficoltà nel gestire le emozioni senza lo schermo come filtro. Non solo giovani, però...
LUGANO – Matteo (nome di fantasia) ha 22 anni e studia economia. Mentre segue le lezioni online, ha sempre il cellulare accanto. Ogni notifica lo distrae, ogni pausa si riempie di scroll compulsivi su Instagram, TikTok, WhatsApp. Anche mentre è con gli amici, tiene lo sguardo sullo schermo. Quando gli si chiede di stare “un attimo senza telefono”, si infastidisce. “Tanto controllo solo un attimo.” Ma quell’attimo diventa un’ora. E poi un’altra. Non è solo questione di “uso eccessivo”: il vero problema è quando la connessione digitale prende il posto di quella fisica, reale.
La dipendenza da smartphone non ha una soglia oraria precisa: non è il “quante ore” che fa la differenza, ma il perché usiamo il telefono e quanto ne siamo in balìa. Matteo, come molte altre persone, cerca nello smartphone un modo per calmare l’ansia, spegnere la noia, riempire il silenzio. Tra gli effetti più comuni di questo comportamento ci sono la difficoltà di concentrazione, l’irritabilità se si è costretti a staccare, il calo dell’attenzione nello studio o al lavoro, la tendenza a isolarsi. Anche il sonno può essere compromesso, perché la mente resta attiva fino a tardi, stimolata dalla luce e dalle interazioni digitali. E quando manca il telefono, può emergere una vera e propria crisi: senso di vuoto, agitazione, paura di “perdersi qualcosa”.
Questa condizione ha un nome: nomofobia, la paura incontrollabile di restare disconnessi. E può portare a una crescente difficoltà nel gestire le emozioni senza lo schermo come filtro. Non solo giovani, ma anche i bambini non sarebbero lontani da questa dipendenza, tanto che gli studiosi parlano di “iPad kids”, bambini già dipendenti dagli schermi a partire dalla tenera età, che sviluppano, in assenza dello schermo, delle vere e proprie crisi di astinenza.
Per uscire da questa situazione, il primo passo è riconoscere che il telefono non è solo uno strumento, ma spesso diventa una stampella emotiva. Il secondo passo è imparare a usarlo con consapevolezza, ponendosi dei limiti chiari, stabilendo zone o momenti “offline”, spegnendo le notifiche superflue e tornando a godersi le interazioni dal vivo. Anche in questo caso, un supporto psicologico può aiutare a comprendere i bisogni sottostanti al comportamento compulsivo, e a costruire una relazione più sana con la tecnologia.
Come per ogni altra dipendenza o disturbo comportamentale, è fondamentale riconoscerne i segnali e cercare supporto professionale per prevenire danni a lungo termine alla salute. Per maggiori informazioni o per richiedere consulenze anonime e gratuite, è possibile rivolgersi ai consultori di Ingrado – Servizi per le dipendenze (www.ingrado.ch).