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13.10.2015 - 15:300
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:43

«Svizzera, devi aprirti di più: accogliere l'altro non vuol dire perdere qualcosa»

Si apre oggi la seconda edizione del Festival Diritti Umani Lugano, che propone film, dibattiti e mostre. La direttrice Jasmin Basic invita il paese ad adoperarsi per i rifugiati e i diritti umani. «All'estero, auspico una presenza più attiva».

LUGANO - Prende il via oggi la seconda edizione del Festival Diritti Umani Lugano, in programma sino al 18. La direttrice Jasmin Basic ci ha spiegato in che cosa consiste la manifestazione e quali sono gli scopi che la animano. «Siamo alla seconda edizione, dunque siamo un festival giovane ma con obiettivi e desiderio di trovare il suo posto e il suo pubblico sia a livello locale che nazionale. Proponiamo film, dibattiti e mostre per parlare, o meglio per incoraggiare il dialogo e la discussione su temi relativi ai diritti umani. La convinzione forte è che il cinema e l'arte possano permettere di trovare tempo, contesto e dimensione giuste per toccare certe tematiche».Un tema molto ampio, dunque. «Questa ampiezza è una forza a livello di manifestazione. I diritti umani vanno dalla libertà di espressione al diritto all'educazione sino a quello di movimento, e riguardano tutti noi. Non si parla solo dei diritti umani, per esempo, in Siria ma anche qui: ha una dimensione universale, quello dei diritti umani è un tema che tocca anche noi in questa Europa e in questa Svizzera ben protetta. Qui si può avere l'idea di essere lontani e potetti, invece la tematica concerne tutti noi».In Svizzera a che punto siamo coi diritti umani?«Penso che prevalentemente vengano rispettati. Si potrebbe essere più attivi nel farli rispettare altrove, perché il nostro paese ha una lunga tradizione nel campo dei diritti umani e delle convenzioni al riguardo, ma ultimamente c'è e non c'è. Personalmente mi auguro sia più presente nella difesa altrove dei diritti umani, con le sue organizzazioni internazionali all'estero e in zone dove non sono rispettati, però auspico anche un'attività»Il festival ha due dediche: all'Eritrea e al blogger giornalista Raif Badawi, detenuto in Arabia Saudita e condannato a 1.000 frustate e 10 anni di prigione. Come mai?«Abbiamo scelto due cause ai quali volevamo dedicare l'edizione del festival per portar loro attenzione. Desideriamo dare visibilità a Raif Badawi, che è imprigionato dal 2012, e qui si tocca la libertà di espressione, e al popolo eritreo, che viene da un paese che ha una delle dittature più pesanti e violente esistenti. A causa delle numerose violazioni dei diritti umani una buona parte degli eritrei sceglie, pur essendo una non scelta, la fuga, con un percorso che un calvario: penso alla torture che subiscono nel Sinai, e poi attraversano il Mediterraneo o altre vie, e incontrano ostacoli anche nell'integrazione. In Svizzera e in Ticino la comunità dell'Eritrea è molto presente, perciò ci tenevo a creare un dialogo con qualcosa che sembra lontanissimo invece è vicino, si devono creare dei punti in comune anche in situazioni tese, perché il processo di integrazione non è facile. L'idea è di aprirsi all'altro, è ciò che mi auguro per una società evoluta nel 2015».Invece in questo periodo la Svizzera e i suoi abitanti vorrebbero in un certo senso chiudersi ai rifugiati, voi desiderate mandare un messaggio di apertura?«Altroché, certamente! Siamo uno dei paesi che accoglie meno persone in questo flusso migratorio, ma ci vogliono un'organizzazione e una struttura, anche l'Ue si deve organizzare, e questo punto è stato in parte un fallimento sinora. Noi non abbiamo il potere politico e logistico, però mi auguro che almeno a livello di mente si cerchino di superare le paure dell'altro. Non capisco come mai si creda che accogliere l'altro tolga qualcosa a noi, dobbiamo aprire la mente e avere fiducia più ampia al di là delle convinzioni politiche e religiose, qui si parla di umanità!»È stato difficile trovare i film da proporre per toccare temi così delicati?«Il cinema non è un film su qualcosa, non illustra in modo informativo, ma è un'arte, un modo di raccontare storie con certi soggetti e certi protagonisti, e per questo volevo ci fosse una forma cinematografica. Desidero si trasmettano al pubblico il contenuto e la forma. Serve conoscere la produzione, sapere che cosa proporre e come poi impostare il successivo dibattito».
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