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31.08.2016 - 18:500
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:43

Artigiani, non vi piace la LIA? «Esprimetevi ora oppure non lamentatevi»

Andrea Genola promuove un'azione per manifestare la contrarietà all'albo. «Secondo me è un costo inutile e non servirà a combattere i padroncini. Ci vogliono responsabilità e reciprocità»

SAVOSA - Dopo il marchio etico, il post contro la LIA. Andrea Genoli ritiene che la legge che contiene l'albo anti padroncini non piaccia a nessun piccolo artigiano. «Non riesco a trovare tra le mie conoscenze un artigiano che vuole l'introduzione dell'albo artigiani LIA, ma 89 deputati su 90 l’hanno votato. Io credo siano in buona fede e convinti di aiutarci. Se nessuno del 26,6 % delle aziende con meno di 10 operai (la qui maggior parte non è iscritta in associazioni di categoria) non esprime la propria contrarietà, il risultato della votazione è comprensibile. Dunque se sei un artigiano assoggettato all'albo LIA, e vuoi che la legge venga abolita, dillo , posta una foto su Facebook: se non lo fai, vuole dire che ti va bene l'introduzione dell'albo LIA, dunque piantala di lamentarti e iscriviti su perché se non ti iscrivi, dal primo ottobre non potrai più lavorare», è il testo di una missiva che ha inviato ai media. Lo abbiamo contattato. «Lo scopo è solo quello di dare voce a chi di solito non ne ha, anche per colpa sua perché non lo chiede», ci spiega. «Un numero alto di adesioni cambia qualcosa? Secondo me sì, perché ciò che mi interessa è la riflessioni. Se in molti aderiscono andranno ascoltati».E se le adesioni fossero molte pensa di rivolgersi alle autorità o quanto meno a dei parlamentari?«Non c'è dietro nessuna struttura, sono stato a promuovere tutto. Andate in giro, fate domande, anche a voi giornalisti non diranno la verità. Fuori dai denti viene sempre affermato che non si è d'accordo, come fanno i politici a prendere delle decisioni se non sanno che cosa si vuole? I canali per essere ascoltati ci sono, il parere sulla LIA è stato chiesto all'interno di Associazioni. Esse però non rappresentano tutti gli artigiani, dunque insisto sul concetto che la colpa è nostra. Se non ci esprimiamo su ciò di cui abbiamo bisogno non possiamo pretendere di aver ragione».Non vi esponete perché temete di non essere ascoltati?«Probabilmente la mentalità è quella. In molti non sono nelle Associazioni per svariati motivi, anche economici. La gente fatica a portare avanti una piccola attività, e non crede in queste Associazioni. D'altronde è facile dare la colpa agli altri, è per questo che ho scelto una formula semplice. Se non arriva nessuno vuol dire che è giusto che le cose vadano così, e che la minoranza si deve adeguare. La mia non è una protesta, solo la possibilità per chi non è rap allapresentato possa dire la sua. E se non sono in grado neppure di fare quello, che la smettano almeno di lamentarsi!»Cosa non vi piace esattamente della LIA?«Crea un costo sotto tanti profili, non solo l'iscrizione. Penso al tempo ad evaderla, un costo che a dipendenza della dimensione della ditta è uguale ma pesa in modo diverso: già qui, noi piccoli siamo sfavoriti. Poi ci raccontiamo un sacco di storie ma dovremmo assumerci le nostre responsabilità. Non mi si venga a dire che chi chiama un padroncino lo fa perché esso è iscritto alla LIA, alla Confindustria italiana o ha un marchio etico enorme, ma solo perché lavora a prezzi minori avendo costi minori. E aggiungere spese a noi non è la migliore delle idee... Se perdo o guadagno un lavoro è una questione di prezzo, ovvero devo dare una prestazione a un costo adeguato. Non fa certo la differenza essere su un albo, al quale iscrivermi comporta tempo e denaro». Come contrastare il fenomeno dei padroncini, allora?«Già ora dovrebbero lavorare secondo i nostri contratti collettivi, e se non rispettano quelli non vedo perché debbano farlo con questa legge o come non riescano a produrre dei documenti accettabili. L'unica cosa che io ritengo si possa fare è guardarsi allo specchio e pensare a responsabilità e reciprocità. Se pensiamo di chiamare i padroncini senza passare prima o poi alla cassa ci sbagliamo di grosso».
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