"Il dato del PIL non è una pagella politica. È una fotografia parziale, influenzata da fattori tecnici e congiunturali"
di Amalia Mirante *
Nel primo trimestre del 2025 il prodotto interno lordo degli Stati Uniti si è contratto dello 0,3%. È bastato questo dato per far partire una raffica di commenti trionfali da parte di chi da tempo prevede (e auspica) il fallimento della politica economica dell'amministrazione Trump. Ma è un errore. Più che un segnale allarmante sull'economia, questo dato è il riflesso distorto di un meccanismo contabile e di alcuni fenomeni transitori. Bastava leggere con attenzione il comunicato del Bureau of Economic Analysis (BEA).
Prima di tutto, il -0,3% è una variazione annualizzata, come d'uso negli Stati Uniti. Significa che il dato indica quanto crescerebbe (o calerebbe) il PIL in un anno se la dinamica del primo trimestre si ripetesse identica nei tre successivi. Il dato non annualizzato, cioè la variazione trimestrale del primo trimestre, mostra una flessione modesta, inferiore allo 0,1%.
Ma la domanda non è solo tecnica. Serve un'analisi macroeconomica. Il PIL è composto da quattro elementi: consumo delle famiglie, spesa pubblica, investimenti delle imprese ed esportazioni nette (cioè esportazioni meno importazioni). In questo trimestre, la dinamica della bilancia commerciale ha inciso in modo determinante. Le implicazioni sono aumentate del 41,3%. Un incremento eccezionale, legato in parte al timore di nuovi dazi: molte imprese hanno anticipato gli acquisti dall'estero, soprattutto nel settore farmaceutico e nei beni capitali (come computer e componenti industriali).
Questo boom delle conseguenze ha causato un disavanzo commerciale record: 162 miliardi di dollari solo nel mese di marzo (circa 134 miliardi di franchi). È un'anomalia che lo stesso BEA ha sottolineato. Inoltre, per semplificare dal punto di vista tecnico, è come se una parte consistente di queste merci importate non sia ancora stata registrata come incremento delle scorte, perché non è fisicamente entrata nei magazzini o è stata contabilizzata in modo differito. Poiché le importazioni sono sottratte dal calcolo del PIL, la loro impennata ha avuto un impatto negativo immediato, ma distorto, sull'indicatore.
Altri fattori da considerare: la spesa pubblica è diminuita, come previsto dai programmi dell'amministrazione Trump. Anche questo ha inciso sulla riduzione del PIL. Ma si tratta di una scelta politica coerente, non di un segnale di debolezza congiunturale.
Infine, va allargato lo sguardo. Un solo dato trimestrale, per quanto importante, non può ripristinare lo stato di salute di un'economia. Occupazione, consumo, vendita e creazione di posti di lavoro indicano che non siamo di fronte a una crisi. Il mercato del lavoro è solido, l'inflazione sotto controllo, la domanda interna regge.
Il dato del PIL va quindi interpretato con cautela. Non è una pagella politica. È una fotografia parziale, influenzata da fattori tecnici e congiunturali. Saper leggere questi numeri richiede attenzione e competenza. Altrimenti si finisce per fare propaganda. E l'economia, a differenza della politica, ha bisogno di lucidità.
* deputata Avanti con Ticino & Lavoro