TRIBUNA LIBERA
Accordo quadro: "siano i cantoni ad alzare la voce"
Diego Baratti: "In una Confederazione fondata sul federalismo, nessuna decisione di portata strategica può essere presa senza pieno coinvolgimento dei Cantoni"
TIPRESS

*Di Diego Baratti

Il Consiglio federale, con il voto determinante del Consigliere federale Ignazio Cassis, sembra deciso a percorrere una scorciatoia pericolosa: eludere il referendum obbligatorio con maggioranza dei Cantoni sull’accordo quadro istituzionale con l’Unione Europea, il cosiddetto pacchetto “Bilaterali III”. Una manovra che non riguarda solo la forma, ma tocca il cuore stesso della nostra democrazia diretta.

Quando si parla di integrazione istituzionale con Bruxelles, non si tratta di una semplice trattativa commerciale. Si tratta di una scelta strategica, che ridefinirebbe il rapporto tra la Svizzera e l’UE, subordinando sempre più il nostro ordinamento giuridico, le nostre regole e perfino la nostra giurisprudenza alle decisioni prese altrove. In una parola: cessione di sovranità. E una cessione di sovranità non può avvenire senza il coinvolgimento diretto del sovrano, ossia del popolo e dei Cantoni.

Non è solo questione di principio, ma anche di conseguenze concrete. Un ulteriore allineamento istituzionale all’UE potrebbe avere ripercussioni devastanti soprattutto per le regioni periferiche, come il Ticino. Chi conosce il nostro territorio sa bene che la realtà economica e sociale di un Cantone di frontiera non è comparabile con quella di Zurigo o Ginevra. Eppure, con regole imposte dall’alto e applicate uniformemente, queste differenze verrebbero ignorate, penalizzando proprio chi già oggi paga il prezzo più alto della concorrenza europea sul mercato del lavoro e della pressione fiscale.

A tutto ciò si aggiunge un comportamento preoccupante da parte dello stesso Cassis: nella sua impazienza di “chiudere il dossier”, ha escluso le commissioni parlamentari competenti dalla piena visione dei documenti, offrendo invece accesso solo a pochi parlamentari selezionati. Una gestione opaca, che sfida la separazione dei poteri e contribuisce ad allontanare sempre più le decisioni dal controllo democratico. Peggio ancora: rinunciando al voto dei Cantoni, si rischia di alimentare un senso di estraneità tra il centro decisionale di Berna e le realtà locali, che vivono e subiscono concretamente le conseguenze delle decisioni politiche. Ora spetta ai Cantoni far sentire la propria voce, per richiedere che per un dossier così delicato siano ponderati nel modo corretto i loro interessi, tramite la doppia maggioranza.

In questo senso, in Gran Consiglio ticinese è pendente attualmente una mozione proposta dai Giovani UDC che chiede al Cantone di impegnarsi a garantire che l’accordo con l’UE sia sottoposto a referendum obbligatorio con doppia maggioranza, ricorrendo a tutti i mezzi legali disponibili e, se necessario, promuovendo un referendum facoltativo con altri Cantoni. Atti parlamentari simili sono stati presentati anche a Berna, Vaud, Friburgo e Svitto. In una Confederazione fondata sul federalismo, nessuna decisione di portata strategica può essere presa senza pieno coinvolgimento dei Cantoni e il rispetto della doppia maggioranza.

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