“Teniamo presente che Facebook è proprietaria di WhatsApp e Instagram, alla fine si contribuisce alla raccolta dati. Si deve essere selettivi, chiedersi come funzionano questi social. Penso che se ce ne fosse uno a pagamento, anche solo 5 franchi al mese, che non vende dati, molti lo sceglierebbero. Ci sono tecniche online che spiegano come spegnere la localizzazione, non farti taggare, come non avere app che rubano dati ancor più di quella di base, per usare tutto in modo costruttivo senza essere divorati. Per WhatsApp parliamo di un caso particolare: per contratto, accede a tutti i numeri delle nostre rubriche, giochiamo anche coi dati degli altri. WhatsApp promette che non possono essere lette le conversazioni, o ascoltate. Teoricamente è corretto ma si sa con chi si parla e quando. Se parlo con un avvocato per tre ore in piena notte, probabilmente ho un problema serio, o una donna conversa con un medico nel weekend non lo fa per parlare di Formula Uno. Con questi metadati, ovvero dati di contorno, si possono dedurre tante cose, tra cui il tipo di rapporto fra le persone. Sono questioni a cui non si pensano, trappole poche intuitive. E lo strumento di marketing conta sul fatto di offrire qualcosa di gratuito, che troviamo comodo e ci piace. Ma se non lo paghiamo in denaro, come lo paghiamo? In dati!”.