POLITICA
Un "like" di troppo, e la Fondazione Bignasca si ritira
La storia di una sponsorizzazione da parte della Fondazione Giuliano Bignasca. Le spiegazioni di Boris Bignasca, «devo dare la priorità a chi mi sostiene a tutto tondo».
LUGANO – La storia la racconta Filippo Rossi di Comano, giovane attualmente in stage all’ambasciata svizzera a Yaoundé, in Camerun. Ad inizio anno – narra il giovane in un lungo comunicato stampa – Boris Bignasca aveva deciso di sponsorizzare il progetto “4 Deserts- The Grand Slam” per il 2016. L’ambizioso obiettivo prefissatosi dal ticinese è costituito da quattro gare in altrettanti deserti (Sahara, Gobi, Atacama e Antartide), ognuna delle quali lunghe 250 chilometri e in totale autosufficienza. Un’impresa che solo 47 persone in tutto il mondo hanno finora portato a termine. Per far fronte alle ingenti spese, Filippo Rossi si è appoggiato a degli sponsor, fra cui la fondazione “apolitica” creata dopo il decesso di Giuliano Bignasca, la “Fondazione Giuliano Bignasca”.«Il presidente, Boris Bignasca (figlio di Giuliano), ha accordato la sponsorizzazione di franchi 1’000» al giovane, il quale sostiene di essersi accertato di non voler avere nulla a che vedere con la politica. Il progetto doveva rimanere solamente sportivo. «Accentando di buon grado quest’impegno, Boris ha versato a Filippo l’importo stabilito e il corridore si è impegnato in cambio, a fare pubblicità alla Fondazione sul proprio sito, sui social network e a tutte le manifestazioni pubbliche organizzate per il progetto (principalmente nel 2016)», si legge nella nota.La candidatura di Battista Ghiggia al Consiglio degli Stati, e quella di Norman Gobbi al Consiglio federale, avrebbero però cambiato le carte in tavola. Conscio che il proprio progetto esula dalla politica, Filippo Rossi l’11 novembre mette un “like” ad un commento del granconsigliere socialista Henrik Bang, il quale criticava Gobbi in particolare per il suo cambiamento di casacca, dalla Lega all’UDC, per postulare la propria candidatura a Berna. Il giovane non si è posto domande sulle eventuali ripercussioni, «dal momento che Boris era un suo conoscente e sapeva di potersi fidare della sua parola. Ma purtroppo, non è stato così».Da qui le pressioni di Boris Bignasca, che – stando al giovane – avrebbe dapprima tirato in ballo un amico per indagare sulle idee politiche di Filippo Rossi, per poi inviargli direttamente una «mail minatoria», intimandolo in poche parole «di “sostenere” il partito per non vedersi sottrarre lo sponsor». Per Rossi «una decisione autocratica, degna di un partito autoritario». Ne è seguito un viavai di mail, che alla fine ha portato Bignasca alla revoca della sponsorizzazione. Una sponsorizzazione – deduce il giovane – vincolata alla fede leghista. «Boris non ha rispettato i patti prestabiliti, il che ha fatto capire molto su come il partito di cui lui è uno dei principali esponenti si comporta “dietro le quinte”», si afferma nel comunicato.«Questa storia va raccontata per il modo in cui è accaduta», conclude la nota. «Bignasca ha esplicitamente mostrato il suo unico interesse politico e di guadagnare voti piuttosto che operare in nome della Fondazione, sponsorizzare un giovane e operare socialmente come dovrebbe fare per denominazione. Insomma, una Fondazione che si dice sociale, ma in verità è solo una copertura per obbligare al voto chi viene sostenuto finanziariamente?».Nello scambio di mail Bignasca non ha esitato ad affermare che «devo purtroppo dare la priorità come sponsorizzazioni a chi mi sostiene a tutto tondo e non a chi mi vuole solo a spicchi».
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