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28.11.2017 - 12:350
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:43

Reazioni post letteram: il PPD è d'accordo, gli altri partiti molto meno. Caratti, "la prossima mossa sarà una causa legale per toglierci il dossier?"

In molti hanno commentato la missiva a tutti i fuochi di Fiorenzo Dadò. Per Augstoni, "anche per un buon cristiano le guance da porgere finiscono". Per Righini non c'è coerenza, per Caprara è esagerato, per Marchesi "una figura da Calimero". Caratti replica senza mai fare il nome del presidente pipidino

BELLINZONA -  “Questo è Fiorenzo, eletto dalla base del PPD proprio perché capace di questi colpi di scena. Ha messo l’uomo davanti al politico”, è il commento di Giorgio Fonio alla missiva inviata dal presidente del PPD a tutti i fuochi, in particolare rivolto ai “ticinesi non rancorosi”, per dire la sua sul caso Argo 1.

In casa pipidina, chi si esprime è d’accordo. “Anche per il migliore dei cristiani a un certo punto le guance da porgere finiscono”, ha detto Maurizio Agustoni, capogruppo, secondo cui Dadò “può andare a testa alta, indipendentemente da qualsiasi lettera”. E per Passalia è stato un gesto forte, mentre Romano lamenta l’accanimento eccessivo.

Su questo fatto concorda anche il co-coordinatore dei Verdi, Nicola Schönenberger, che però ritiene “poco credibile” una missiva a tutti i fuochi. Anche gli altri partiti non concordano: “mi sembra un’ammissione o di colpa, o del fatto che sono talmente in difficoltà che non sanno più cosa inventare. Che nel mondo della politica vi siano delle speculazioni è evidente. Ma con questa mossa fa un po’ la figura da Calimero”, sostiene Marchesi dell’UDC.

“Se Dadò vuole fare delle precisazioni va bene, ma così sconfessa se stesso. Aveva infatti detto che non si sarebbe più occupato di Argo 1 e che aveva piena fiducia nella giustizia. Lo dimostri fino alla fine”, attacca il socialista Righini. Per Caverzasio, leghista, esprimersi è un diritto, mentre critica il liberale Caprara: “È una mossa esagerata e ritengo che in questa vicenda si debbano abbassare i toni: non perché i fatti non siano importanti, ma perché le inchieste in corso sono sufficienti per fare chiarezza. E invece che stare zitti e lasciare che le cose facciano il loro corso, i protagonisti continuano a rincarare la dose”.

Ovviamente, a reagire con fermezza è il direttore de La Regione, Matteo Caratti, chiaramente chiamato in causa da Dadò. Non lo nomina (il presidente pipidino lo aveva accusato di aver fatto il suo nome 19 volte in una sola edizione…), ma si chiede quale sarà la prossima mossa. “A volte, chi detiene il potere (politico in particolare), non gradisce che i fatti vengano portati alla luce del sole. Di qui la protesta per lesa maestà e il ‘vade retro’ ai giornalisti che non cantano in coro”, scrive. “Il prossimo passo potrebbe essere – indoviniamo? – l’avvio di qualche causa legale, per cercare di far tirar via le mani dal dossier a qualche giornalista. State a vedere. Di solito si inizia tentando di togliergli perlomeno il sonno, inviando un ‘bel’ precetto esecutivo… Un déjà vu”.

Che non preoccupa il direttore, il quale dichiara che “noi continueremo serenamente sulla nostra strada. Anche nei cunicoli inesplorati dell’Argogate che da mesi ormai occupa i tre poteri dello Stato e blocca un partito (poveretto, in ostaggio!) che ha sicuramente molto da offrire al Ticino, e non certo solo questo miserevole spettacolo, inscenato da un paio di primi attori azzoppati da mesi, ma che si tengono ben stretto il cadreghino sempre più traballante”. Non risparmiando, dunque, un’ennesima frecciata al PPD e anche a Paolo Beltraminelli. I toni sono ben lungi dal placarsi.
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