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22.08.2016 - 10:100
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:43

Strumenti adeguati per i servizi segreti

di Marco Romano, consigliere nazionale

La sicurezza è un bene fondamentale. Numerosi tragici e ignobili fatti recenti, riconducibili a situazioni diverse tra loro, minano le certezze delle cittadine e dei cittadini delle democrazie occidentali. Non ne siamo abituati. La globalizzazione e la mediatizzazione rendono tutto più vicino e percettibile. La risposta non è l’allarmismo e il panico, ma l’adattamento e l’aggiornamento dei nostri dispositivi di protezione e sicurezza dello Stato. Il 25 settembre prossimo saremo chiamati a esprimerci in votazione popolare sulla revisione della Legge sul Servizio delle attività informative della Confederazione (SIC). Nel gergo corrente i servizi segreti. Certo, non ci sono solo nei film, fanno parte del dispositivo di protezione dello Stato in ogni democrazia moderna. La Svizzera dispone di un Servizio federale fortemente interconnesso con l’attività delle singole polizie cantonali. Garante di un’azione preventiva soprattutto nei seguenti ambiti: spionaggio, terrorismo, proliferazione atomica e attacchi a infrastrutture critiche. Ogni azione e misura possibili sono codificate a livello legislativo. Non c’è spazio per improvvisazione o controlli a tappeto; ci mancherebbe. Abusi e inutili ingerenze sono evitati nella maniera più assoluta e le procedure di autorizzazione e di controllo previste sono tanto rigide quanto garanti di proporzionalità. L’attuale Legge è datata e superata. La Svizzera ha servizi informativi che nell’odierno panorama internazionale e nella società virtuale del presente sono letteralmente muti e ciechi. Possono ascoltare discretamente una conversazione nella hall di un albergo, ma non possono sfruttare le moderne tecnologie per ascoltare la medesima in una stanza o in un taxi. Computer e social media sono per i Servizi svizzeri inviolabili, malgrado si sappia che “molto passa da lì”. Senza questa riforma non vi è la base legale per predisporre controlli preventivi necessari su persone sospettate, entrare in computer e controllare flussi di informazioni. Assurdo, anacronistico e soprattutto pericoloso. La Svizzera è oggi per chi ha intenzioni nefaste un’isola in cui muoversi e comunicare indisturbati. La nuova Legge, contestata in maniera ideologica da alcuni gruppi che hanno lanciato referendum, permette di agire secondo gli standard moderni, sempre e comunque sotto un rigido controllo che eviti abusi. Paradossalmente questo controllo, che prevede la necessità di autorizzazioni politiche e giudiziarie su tre livelli, sarà tale da rischiare di rallentare inopportunamente l’attività. I “servizi segreti svizzeri” sono comunque tipicamente svizzeri: moderati, contenuti e prossimi alle realtà locali. Nel caso di una minaccia grave e imminente permettono di salvaguardare gli interessi essenziali del nostro Paese. Respingere questa riforma legislativa è assolutamente fuori luogo. Il SIC fornisce un contributo essenziale alla salvaguardia della sicurezza interna ed esterna del nostro Paese, è fondamentale per la prevenzione e la valutazione della situazione e focalizza sull’individuazione tempestiva delle minacce. Non per nulla, in queste settimane, con mezzi e possibilità molto limitate, sta controllando almeno una decina di persone rientrate da zone di conflitto con possibili finalità jihadiste. Marco Romano, consigliere nazionale
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