RIO - Medaglie, inni nazionali, bandiere, gioia, ma anche lacrime. Chi vince e chi perde. Per la Svizzera, Fabian Cancellara che lascia il ciclismo entrando nella leggenda con l'oro nella cronometro, il primo della delegazione rossocrociata, spinto da una nazione intera. O quello, meno conosciuto e per questo forse anche più bello, della 46enne Heidi Diethelm Gerber, bronzo con la pistola da 25 metri.In fondo, chi conosceva questo sport? Il bello delle Olimpiadi è questo: scoprire sport di cui non si sapeva l'esistenza, soffermarsi a guardare gara di discipline di cui non si conoscono le regole. È un assaggio, e chissà se qualcosa resterà. Ogni quattro anni, gli sport sconosciuti salgono alla ribalta, persone normali che vivono una vita normale, senza stipendi da capogiro o prime pagine, per una volta diventano gli eroi. Esemplificativa la dichiarazione di Diethelm Gerber al termine della gara, «non penso che questo avvenimento mi cambierà la vita, sono già troppo in là con l'età, ma è una bella ricompensa per gli anni di lavoro svolti. E mi sono sentita realizzata». Si allena sei ore al giorno, eppure pochi la conoscevano, prima di Rio. Il successo migliore è questo, con la consapevolezza di venir dimenticata subito dopo la cerimonia di chiusura.Però a Rio non tutto è rose e fiori. Inutile parlare delle infrastrutture che coprono per qualche giorno i problemi che dilaniano il paese, è una realtà conosciuta benissimo. Ma anche all'interno dei palazzetti circola, inevitabile, il clima del doping. La gente è stufa di atleti dopati, squalificati, riammessi, magari capaci di conquistare una medaglia. Un oro pulito? Oppure c'è ancora inganno? Si sta facendo sempre più largo la corrente di chi non perdona: se sbagli una volta sei fuori, e non devi più gareggiare, non puoi rappresentare i colori della tua nazione. Nemmeno dopo aver scontato la squalifica. L'ha fatto capire chiaramente il pubblico coi fischi a Yulia Efimova, argento nei 100 metri rana. Sono piovuti insulti, e la russa ha pianto, come ha versato lacrime in conferenza stampa. Ha sbagliato, ma per lei pare non ci sia riammissione. Al suo fianco, la vincitrice 19enne Lilly King la sbeffeggia quasi, vantando il suo oro pulito, e chiedendo che chi commette un errore sia fuori per sempre. Dello stesso avviso è Michael Phelps, leggendario con le sue ormai 21 medaglie. Insomma, chi sbaglia paga, e lascia lo sport. Le Olimpiadi dicono questo, non c'è posto per redenzione e perdono. Sono durissimi gli atleti, non fanno sconti, e nemmeno il pubblico, tanto che il Comitato Olimpico Internazionale richiama al rispetto dell'avversario. Il CIO ora difende gli ex dopati, lo sport li scarica.Esemplificativa in merito è la vicenda di Alex Schwazer. La sua storia la conoscono tutti, risvolti di gossip compresi. Alla prima gara dopo il rientro, ecco il tempo per Rio. Una favola? Già allora lo sport si interrogò, Ticino Libero provò a chiedere un parere a Marie Polli che non volle esprimersi. Il doping e il perdono, due temi difficili da affrontare, in un mondo sempre meno disposto a perdonare. Ma anche a credere nel lieto fine, per cui in molti sostenevano l'altoadesino. Sino alla nuova positività, a Capodanno. Schwazer e il suo allenatore gridano al complotto, dato che un controllo successivo risulta negativo. Ieri la fine della vicenda, con otto anni di squalifica. Davvero qualcuno ha voluto farlo fuori, come successe con Pantani? Se veramente contro Schwazer abbia giocato qualcuno, i russi come dice Donati, lo si saprà fra anni. Ma lui non potrà avere la medaglia del perdono.E mentre un giornalista italiano perde il posto per aver definito "cicciottelle" tre arciere azzurre, in rete in molti prendono in giro la ginnasta messicana Alexa Moreno per la sua forma fisica. «non poteva fare una dieta?» chiede qualcuno. «Riuscissi io a fare ciò che fa lei», la difendono altri. Una nuova tendenza anche nello sport? Tutti omologati, magri, pronti per la prima pagina? Eppure qui non si parla di Belen Rodríguez, ma di persone che sono a Rio per provare a vincere, o per godersi la propria vittoria, perché esserci è già una medaglia d'oro. Il pubblico condanna chi vuole stereotipi. È la risposta che sul sessismo e sui discorsi riguardanti la forma fisica la sensibilità è ai livelli di guardia. Politically correct sempre e ovunque, ma probabilmente più che altro la rivendicazione di tifare atleti normali. Non photoshoppati, non perfetti, non famosi, soprattutto non dopati.Le Olimpiadi e la normalità. Il simbolo, non ce ne voglia Cancellara, rimane per la Svizzera Heidi Diethelm Gerber.