La triste foto postata nel gruppo: un incontro con la frontiera in mezzo
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13.05.2020 - 15:000
Aggiornamento: 15:52

Quelle coppie divise... dal Covid. Piene di nostalgia e rabbia: "Fateci riabbracciare i nostri amori"

"Siamo cittadini di Serie B?", si chiede chi ha il compagno dall'altra parte del confine. Hanno bombrdato i consolati di email, hanno scritto a Di Maio e a Le Iene, vogliono contattare la D'Urso e la Lucarelli. Anche la distanza è un dramma del Covid

MENDRISIO - Spesso quando una persona ticinese si fidanza con una italiana, c’è ancora chi inarca le sopracciglia chiedendo se non poteva trovare qualcuno più vicino. Beh, dire che all’amore non si comanda è un luogo comune ma reale, poi sovente in linea d’aria si è più vicini a qualcuno che vive in Italia che a qualcuno che sta dall’altra parte del Ticino. In mezzo, solo la frontiera.

Eppure adesso anche chi vive a una decina di chilometri o anche meno, con il confine a dividerli, non può vedersi. Gli italiani non possono entrare in Ticino se non per motivi di lavoro o di salute, idem per quanto concerne i ticinesi. E vedere il fidanzato non rientra fra essi, per le autorità. Soprattutto se non esiste un’unione registrata o non si è sposati, poco importa se magari si hanno anche figli.

Da quando la Lombardia divenne zona rossa l’8 marzo, per molti è cominciata la separazione. Che col passare del tempo, nonostante le tecnologie, è sempre più dura. Personalmente ci ho pensato qualche giorno fa: meno male che i progetti miei e del mio ragazzo di vita sono andati in porto qualche mese orsono, altrimenti ci saremmo trovati, come tanti, divisi da un confine. 

Sui social una miriade di coppie disperate si è unita nel gruppo “Coppie Italia/Svizzera… e non solo”. Per confortarsi a vicenda, per raccontare la propria storia, per cercare aiuto. C’è chi ha la compagna incinta e si sta perdendo l’intera gravidanza, quei momenti magici che parlano di sogni e progetti. C’è chi ha dall’altra parte una persona amata che non sta bene, magari prostrata dai lutti, e non può andare a confortarla. A tutti manca la forza di un abbraccio. “Penso ai nostri nonni, che non avevano nemmeno le videochiamate”, scrive qualcuno. Già, altri tempi. 

Tutti ci soffrono. In diversi si incontrano nelle zone franche, quelle strisce di terra a metà tra un paese e l’altro. Non possono passare il confine, ma con un po’ di fantasia, si trova il modo di darsi un bacio o un abbraccio, anche se "andar via e lasciarlo lì è stata una delle cose più difficili che io abbia fatto". Da qualche giorno, sembra che i doganieri non siano d’accordo. Per qualcuno è comunque troppo triste: "è straziante, peggio che essere in galera, per vederlo così preferisco aspettare". Sì, ma quanto? Si parla di inizio giugno, della fine di giungo. 

C’è chi si presenta quasi ogni giorno in dogana, provando a passare il confine, e viene respinto: a volte gentilmente, altre meno. Mi è stata raccontata la scena di una donna che voleva andare in Italia dai genitori, che la aspettavano a pochi passi dal confine. Non c’è stato niente da fare, hanno potuto solo salutarsi velocemente.

Qualcuno potrebbe dire che le tragedie portate dal Covid sono altre. È vero, ma solo in parte. Le separazioni fanno male come lacerazioni. Adesso che la Svizzera sembra voler riaprire, fra qualche tempo, le frontiere con Austria, Germania e Francia ma non con l’Italia, sale lo sconforto. In diversi raccontano di non dormire da due mesi, oppure di avere incubi. Qualcuno ricorda l’ultimo veloce saluto prima di dividersi, delle peripezie che hanno fatto sì che senza saperlo ci si trovasse separati. 

Tutti chiedono aiuto. Bombardano di email i consolati, ricevendo sempre la stessa risposta: non si passa. Non sapendo cosa fare, si rivolgono ai media, ai personaggi pubblici. Qualcuno da giorni contatta quotidianamente Luigi Di Maio, senza avere risposta. Una ragazza ha scritto a Le Iene, altri vogliono rivolgersi a Barbara D’Urso o a Selvaggia Lucarelli, nella speranza che la loro visibilità aiuti a far capire alle autorità, italiane e svizzere, di occuparsi dei loro casi.

Sono pronti a scrivere email tutte uguali, almeno 400, come i membri del gruppo, ai governi. “Ci dovranno pur ascoltare”, si dicono. Si sentono cittadini di serie B, non considerati. Il loro problema non verrà risolto tanto presto, pare. Il calendario ha altre priorità. Qualcuno teme per la sua salute mentale. Ci si chiede perché i frontalieri possano venire in Ticino e i fidanzati no. Perché tenere separate famiglie.

Ogni aiuto è ben accetto. Quando ho scritto di voler parlare di loro, è piovuta gratitudine. In Ticino lo hanno già fatto diversi media. Io ho deciso di farlo perché se il corso della vita fosse stato diverso, sarei stata una di loro. E la lontananza non è una malattia, non è morte, non è la crisi economica, non è tutto quanto sta portando il Covid. Ma è un altro problema, serio, sentito, che divide dai propri cari, dalle persone amate. Fino a quando?

Ci sono anche diverse petizioni online, di cui una qui

Paola Bernasconi

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